L'uomo è ciò che mangia

“L’uomo è ciò che mangia”

La frase è tratta dal titolo del saggio “Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia”, scritto nel 1862 dal  filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. Un’opera compilata a partire dalla recensione che Feuerbach fece nel 1850 dello scritto di Moleshott sull’alimentazione, in cui veniva posto in evidenza l’assioma: un popolo può progredire migliorando la sua alimentazione.
Sostanzialmente, Feuerbach rileva l’esistenza di un rapporto indissolubile fra psiche e corpo: “Per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio”. Quindi è inevitabile - sostiene il filosofo - che il benessere dell’individuo debba prescindere dalla qualità dell’alimentazione.

Questa preziosa introduzione mi serve per affrontare l’argomento “alimentazione” sotto un punto di vista che non sia meramente relegato agli aspetti salutistici. Intendiamoci, non c’è alcun dubbio che attraverso l’alimentazione si è in grado di prevenire numerose malattie. Non a caso infatti, dall’invito a evitare i cibi che fanno male, si è passati al consiglio di nutrirsi con cibi che fanno bene, ovvero alimenti funzionali che abbiano effetti positivi su una o più specifiche funzioni dell’organismo.
L’aspetto invece, che vorrei affrontare e di cui si tiene poco conto è quello psicologico, o meglio l’effetto provocato sulla psiche umana dall’abbondanza o dalla scarsità di cibo a disposizione.
Che differenza c’è, a livello psicofisico, tra una persona che sa di poter mangiare di tutto e di più, rispetto a chi è costretto, suo malgrado, a soffrire la fame? Per fare un esempio, basti pensare alle diverse reazioni che ognuno di noi mostra davanti ad una tavola riccamente imbandita o, viceversa, al cospetto del nulla. Poter attingere senza problemi a ogni sorta di cibo è molto gratificante, e di certo aiuta a rafforzare lo spirito e la fiducia in se stessi. Al contrario, la persona costretta a subire la fame o a dover forzatamente limitare la scelta degli alimenti si sentirà depresso e poco incline all’ottimismo. Sentirsi appagati e sicuri di se stessi dopo un buon pranzo è scontato, altrettanto non lo è se si saltano i pasti per scarsità di cibo.

Un antico detto affermava che non si può pensare con la pancia vuota. Lo stesso Aristotele ci ricorda, nella Metafisica (982 b 21), che la filosofia nasce quando l’uomo ha risolto i suoi bisogni primari. Se poi andiamo a ritroso nel tempo, scopriamo che i personaggi più illustri avevano un ottimo rapporto con il cibo, a conferma del fatto che con la pancia piena si ragiona meglio.
Non c’è quindi alcun dubbio che è molto faticoso affrontare qualunque tipo di attività, mentale o fisica, se scarseggiano le energie. Se non c’è del buon carburante che alimenta il nostro motore, oltre all’indebolimento del corpo, regredisce anche la mente. La mancanza di cibo ci riporta allo stato primordiale, a un’innata necessità che sempre ci accompagna. Non a caso, il primo riflesso di fame del neonato è il pianto, un modo naturale per richiamare l’attenzione. Solo che per gli adulti non è la stessa cosa. Ci sono troppe responsabilità in gioco, e se una persona non ha la possibilità di guadagnarsi la sua porzione di cibo è triste di fatto e per condizione.
Al contrario, invece, chi ha la possibilità di superalimentarsi è allegro, anche se rischia comunque di incorrere nelle cosiddette malattie del benessere. Gli esperti, infatti, obiettano che il troppo cibo stordisce la mente, ed è verissimo! Però premesso che “melius abundare quam deficere”, è più facile evitare gli eccessi che rinunciarvi.

 

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