Barletta

Barletta: Città della Disfida

La città di Barletta ha sempre ricoperto un ruolo di primo piano nella storia della Puglia

Chi non  ha mai sentito parlare di BARLETTA?
In tutti i libri di storia ce la ritroviamo, quando si parla di Federico !!, della Disfida di Barletta, del Castello Aragonese con il suo splendido museo con le opere di Giuseppe De Nittis, artista internazionale, dove non c’è luogo al mondo dove non ci sia una sua opera!!
Quando si arriva  in questa bellissima cittadina, ci si rende conto che è tutta da visitare, in ogni strada trovi un monumento importante, una bellissima chiesa, un centro storico che ti fa accendere la luce del cuore, una vita serale frenetica, con tantissimi locali diversi uno dall’altro, il profumo del mare con i suoi tramonti ed i suoi colori rosati, che danno colore e forma a tutte le strade ed ai monumenti fatti in pietra, questa splendida pietra bianca levigata, brillante, armoniosa.In ogni angolo abbiamo un B&B, magnifica soluzione per vivere BARLETTA in ogni momento della giornata, nelle case storiche e con i profumi della storia.

BARLETTA è godibile in tutte le stagioni rincorrendo anche tutti gli eventi che si svolgono durante l’anno e godendo della buonissima gastronomia e dell’eccellente pescato che i ristoranti sanno proporre con ricette sapienti interpretando con i loro insiemi il mare e la terra!!

All'epoca delle crociate, il suo fu uno dei porti più importanti dell'Adriatico grazie ad una posizione propizia favorevole per il raggiungimento della Terrasanta. Proprio il passaggio di mercanti, pellegrini e guerrieri diretti in Medio Oriente diede origine alla fortuna della città.
Il grande afflusso di capitali non si interruppe con la fine delle Crociate e gli ordini religiosi che si erano insediati a Barletta per l'occasione si dimostrarono assai abili nel gestire ingenti patrimoni dando origine ad un ricco patriziato. 

Più tardi anche l'imperatore Federico II prese atto dell'importanza di Barletta e la volle fra le città demaniali del suo regno. 

L'eccezionale ricchezza dovuta alle banche e ai floridi commerci ne fece un importante centro economico anche nei periodi più oscuri della storia della regione. Con la dominazione angioina la città ebbe una grande espansione, ma raggiunse l'apice della sua floridezza sotto gli Aragonese che ne fecero la seconda città del regno di Napoli, tant'è che Ferrante d'Aragona volle essere incoronato nella sua cattedrale.

Nel 1503 l'osteria di Veleno a Barletta fu il luogo in cui un alterco fra italiani e francesi causò il confronto fra i soldati delle due parti che è passato alla storia come la "disfida di Barletta".
La Motte, il capitano di una guarnigione di soldati francesi, con arroganza osò mettere in dubbio il valore dei soldati italiani, questi dimostrarono la infondatezza delle sue a
ffermazioni direttamente sul campo in una sfida senza esclusione di colpi che li vide vincitori.
 Nel XVII secolo una terribile pestilenza decimò la popolazione barlettana e decretò l'inizio del declino della città che proseguì per almeno due secoli. 

Ormai perso il primato regionale la città si riscattò dimostrando il suo valore nelle due guerre mondiali: con 11 medaglie d'oro e 215 medaglie d'argento Barletta è la città più decorata del Paese.

Da segnalare che la città è stata insignita delle Medaglie d'Oro al Valor Militare ed al Merito Civile per la resistenza opposta alle truppe tedesche all'indomani dell'8 Settembre 43.

DA NON PERDERE

IL COLOSSO
La più antica notizia relativa alla presenza di una grande statua di bronzo esistente a Barletta risale al 1309. Comunemente è chiamata Eraclio nella variante popolare e dialettale di "Aré". 
L'identificazione con il suddetto imperatore bizantino è in realtà stata assolutamente esclusa. Molto più probabile è la sua identificazione con un altro imperatore d'oriente, Teodosio II. 
La figura bronzea rappresenta un uomo dell'apparente età di quarant'anni, rappresentato nel momento di maggior gloria di quell'imperatore in tutto l'Impero. 
Molto probabilmente la statua sarebbe stata elevata a Ravenna.

L'ipotesi più "antica" sulla presenza del colosso a Barletta, risale al '600, e alla penna di un gesuita che affermava essere stata gettata sulla spiaggia di Barletta da una nave veneziana di ritorno da Bisanzio dopo il saccheggio del 1204.
Per numerosi motivi tale 'leggenda' è ormai esclusa mentre più probabile è che il trasporto in Puglia del preziosissimo bronzo sia avvenuto su ordine dell'imperatore svevo Federico II inserendosi nel clima culturale della renovatio imperii promossa dallo svevo.

La statua, restaurata e reintegrata delle parti mancanti già in età medievale, marca con la sua presenza il tessuto urbano di Barletta già dal pieno medioevo avendo mantenuto l'attuale collocazione.

Il Colosso di bronzo si presenta come una statua alta 4,50 metri, paludata di vesti imperiali tardo romane e bizantine come l'evidente diadema incastonato nella corona imperiale e la veste da capo militare di altissimo rango. La croce nella mano destra e la sfera nella sinistra sono i simboli della regalità imperiale.
Le tozze gambe furono ricostruite nel medioevo perché certo che le originali furono fuse per ottenere due campane nel XIV secolo.

La leggenda
Secondo una leggenda popolare la città fu salvata da un attacco dei saraceni che infestavano queste terre grazie ad un abile stratagemma ed all'aiuto di "Eraclio".
Quest'ultimo, essendo più alto dei tetti e delle mura, avvistò l'esercito nemico in arrivo. I barlettani non si fecero prendere dal panico e spedirono il colosso fuori della città lungo la strada percorsa dai saraceni. 
Questi lo incontrarono mentre piangeva rumorosamente sul ciglio della strada. 
Gli domandarono perché piangesse e per tutta risposta il colosso disse di essere stato scacciato dai suoi concittadini essendo il più basso e debole di tutti compresi i bambini che non volevano giocare con lui così piccolo e mal fatto.
I saraceni immaginarono di trovarsi di fronte ad una città abitata da giganti ben più alti di quel colosso alto già più di quattro metri ed immediatamente fecero marcia indietro. 
Accolto da tutti gli onori "Eraclio" riprese il suo posto nel centro della città su cui ancor oggi vigila dall'alto.




IL CASTELLO
Non è possibile datare con precisione l'origine del castello di Barletta, il cui aspetto attuale è chiaramente quello di una fortezza cinquecentesca ma la cui origine va molto addietro nei secoli. 
Gli storici locali parlano di una "poderosa rocca eretta dai Normanni nella seconda metà del XII sec. a difesa della città, caposaldo militare della linea difensiva dell'Ofanto" allorquando "erano frequenti le incursioni dei pirati che depredavano le coste dell'Adriatico". 
Il primo documento scritto è in un decreto del 1240 con cui Federico II includeva l'edificio tra i castelli del Giustizierato di Terra di Bari.
Tra le testimonianze di questo periodo rimane unica l'aquila sveva, simbolo dell'autorità federiciana, ora murata nella lunetta della finestra a destra di chi entra nell'atrio. 

Con gli Angioini il Castello, come tutta la città, ebbe un nuovo assetto ad opera di Pietro d'Angicourt, il famoso architetto francese che contribuì alla diffusione in Italia meridionale del linguaggio gotico.
Vero braccio destro di Carlo d'Angiò, L'Angicourt, che a Barletta possedeva due case, modificò ed ampliò il castello. 

Gli Aragonesi riportarono l'edificio all'originaria vocazione difensiva, facendone una fortezza inespugnabile ed una vera e propria macchina da guerra. 
Ferdinando I d'Aragona nel 1461, all'indomani della sua incoronazione avvenuta nell'adiacente cattedrale, assediato da eserciti filo-angioini, vi si rifugiò fino all'intervento dello Scandeberg. 

Nel 1527, come ricorda una targa all'entrata, persino l'imperatore Carlo V, cui si deve in definitiva l'attuale assetto della fortezza, partecipò alla storia dell'edificio, aggiungendo il fossato ed i 4 bastioni angolari. 

In seguito non ci furono interventi di rilievo fino al 1867 quando nel corso di un'asta pubblica il Comune di Barletta lo acquistò per la somma di L.30.000, concedendolo poi all'autorità militare che ne fece un deposito d'armi ed un carcere. 
Nel 1976 un complesso intervento di restauro ha consolidato la struttura, facendone la sede delle collezioni del museo-pinacoteca della città.

Il museo, con il materiale lapideo medievale, tra cui il busto di Federico II, la collezione archeologica, e le altre collezioni presenti nel castello, è in attesa di nuovo allestimento nell’ambito del progetto del polo museale.
L’esposizione del Museo civico posta al primo piano del Castello  è suddivisa in Galleria AnticaGalleria dell’Ottocento e Galleria Cafiero.
La Galleria antica comprende più di 30 opere databili tra la fine del 1400 e la seconda metà del 1700 principalmente provenienti dal lascito di Giuseppe Gabbiani, tra cui si annoverano opere di De Mura, Solimena, Luca Giordano, Cesare Fracanzano, Gianbattista Tiepolo, Mattia Preti.

La galleria dell’Ottocento comprende:
La Collezione Giuseppe Gabbiani, comprensiva di oltre 300 opere tra disegni e dipinti di artisti databili dal XIV al XIX secolo; donata dall’artista  al comune nel 1928, frutto della sensibilità del collezionista, raccoglie opere di Ribera Mattia Preti, Luca Giordano, Solimena, Tiepolo, dipinti del ‘300 e del ‘400 senese. Il corpus più organico della collezione è formato dalle produzioni pittoriche ottocentesche della scuola napoletana con 78 dipinti fra Morelli, Mosè Bianchi, Michetti, Toma, Dalbono, Gemito, Palizzi, Celentano e 72 opere autografe del Gabbiani, oltre 13 sculture del XIX sec.

Le  Collezioni De Stefano costituita da 131 opere pittoriche del XIX e del XX sec. Di cui 72 dipinti, 43 disegni, 15 acquerelli; 
la collezione Girondi formata da 156 dipinti e 67 disegni, connotano la ricchezza del fenomeno sia delle donazioni  sia del ruolo “patriottico” assunto dagli artisti barlettani nel costruire un grande patrimonio d’arte da offrire alla fruizione pubblica per la città;

Nella Galleria Cafiero sono presenti vari pezzi della “collezione Cafiero”, donata al Comune nel 1936 da Ferdinando Cafiero composta da circa 8.000 pezzi tra mobili, armi, bronzetti, oreficerie, tessuti, ceramiche, suppellettili d’arredo; di cui centocinquanta pezzi di argenteria da casa, altrettanti di ferro battuto (ferri chirurgici, candelieri, chiavi, cintura di castità, ecc.) armi e armature, pizzi e ricami di produzione toscana e napoletana, mobili di raffinata fattura databili dal XVII al XIX secolo, trasferita da Firenze a Barletta,  a cui si addice la definizione di Wunderkammer, realizzata con il criterio di period-rooms nella seconda metà dell’800.
Castello - Piazza Fratelli Cervi
sono visitabili  anche il Museo Civico e la esposizione “Prima che il gallo canti” Passione, tradimento e perdono in San Pietro penitente di Cesare Fracanzano
a Barletta. ORARI: dalle ore 9.00 alle ore 19.00 chiusura biglietteria 


PORTA MARINA

Porta Marina, situata nell’omonima piazza, è una porta antica (l’unica ancora esistente) che un tempo segnalava l’ingresso alla città di Barletta. E’ stata costruita nel 1751, ma prima di questa data, esisteva un’altra porta medievale di accesso alla città corrispondente oggi all’arco a tutto sesto che ospita la Guardia di Finanza.

Questa porta fungeva da dogana vicino alla quale erano presenti uomini di Stato, incaricati di controllare l’ingresso e l’uscita delle merci. Nella parte posteriore della porta, a testimonianza della sua costruzione tardo settecentesca, è possibile scorgere lo stemma della famiglia dei Borboni.


LE CHIESE

Cattedrale di Santa Maria Maggiore 
La cattedrale di Santa Maria Maggiore si erge in un punto nevralgico della città di Barletta, al confine tra l’antico borgo di Santa Maria e il Castello Svevo. Anche se con il passare dei secoli nuovi spazi si sono andati definendo presso quasi tutti gli edifici religiosi, piazza Duomo ha sempre conservato peculiarità assolute, soprattutto perché restava l’espressione della prima comunità urbana insediatasi sulla costa, stretta intorno alla chiesa madre: lo stesso disegno del tessuto urbano è il segno della forza centripeta di quest’ultima, benché con le successive fasi di espansione della città si sia verificato il naturale spostamento della piazza che oggi non si trova più in posizione baricentrica rispetto alla civica così come era stato in origine.

La cattedrale è disposta secondo un orientamento est-ovest, con il deambulatorio gotico rivolto verso est, dunque verso il Castello e l’accesso principale verso Palazzo Santacroce. 
Una delle principali caratteristiche logistiche della chiesa consiste nella sua disposizione a ridosso del centro storico, con il sagrato che si affaccia su Palazzo Santacroce, perfettamente integrato tra i suoi vicoli, e con via Duomo a fungere da corridoio d’arrivo alla chiesa. 

Proprio da via Duomo è possibile apprezzare un caratteristico scorcio del campanile, che si erge sul fianco settentrionale della chiesa. Il campanile permette l’arrivo al Castello mediante un’apertura arcuata nel suo basamento che sfocia in un ampio spazio, nel quale è possibile notare uno squarcio nella pavimentazione a ridosso del duomo: si tratta dell’antico basolato sottostante rinvenuto nei recenti lavori di scavo tenutisi nel 2007.

La decorazione scultorea presente a Santa Maria, eseguita in tempi differenti, è molto variegata: capitelli popolati da figure di animali, mostri e figure indistinte aggettanti all’interno e all’esterno dell’edificio. Il prospetto aveva tre portali, di cui sopravvivono oggi i due laterali; quello centrale andò forse distrutto in qualche terremoto e sostituito con uno rinascimentale; di esso rimangono alcuni bassorilievi, inglobati all’interno dell’edificio, con scene dell’ultima cena e dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme.

Già a primo sguardo l’edificio attuale non si presenta come un insieme unitario. Si notano, infatti, due parti nettamente differenti, quella anteriore romanica e quella posteriore gotica, che mostrano i segni di una vicenda costruttiva lunga e discontinua.
Inizialmente la Cattedrale era molto più piccola di quella attuale e si presentava, al pari di molte chiese pugliesi, come una semplice basilica a tre navate.
I primi lavori di ampliamento risalgono al XII secolo e portarono all’aggiunta di due campate voltate a crociera costolonata su pilastri, seguendo un modello già presente in città nella chiesa del Santo Sepolcro.
Mancava a questa data un’ulteriore importante fase di lavori, quell’ampliamento iniziato a partire dal 1307 che interessò l’attuale zona del presbiterio, a tre navate, due campate, copertura a crociere costolonate sulla navata centrale e a botte a sesto acuto su quelle laterali, e quella del coro, comprendente una grande abside poligonale a cappelle radiali, tipicamente gotica e straordinariamente inconsueta in un’area dominata dall’architettura romanica. È qui che, con un accorgimento tecnico dalle intenzionali finalità prospettiche, lo spazio centrale si dilata per aprirsi solennemente alla luce ed alla levità delle forme “moderne”, lasciandosi alle spalle le strutture antiche avvolte nella penombra.

Il sottosuolo della Cattedrale di Barletta presenta una stratificazione per molti versi affine a quella documentata negli altri edifici di culto oggetto di recente indagine archeologica. L’ultima fase di utilizzo è ancora una volta attestata dal sepolcreto che invase l’area corrispondente alla navata centrale e a quella meridionale della Cattedrale del XII secolo, con le camere mortuarie di tufo coperte da volte a botte e botole e gradini di accesso disposti su due file. 
Le pareti di questi ossari ospitano anche blocchi di reimpiego, tra cui una lastra con la data 1510, che potrebbe essere un termine indicativo per la costruzione dei cassoni tombali probabilmente riferibile ad un’unica fase. Anche qui come nelle analoghe situazioni evidenziate nei soccorpi delle cattedrali pugliesi, un vasto campionario di oggetti di abbigliamento e di ornamento insieme alle consuete medagliette e ai rosari del corredo devozionale, consente di cogliere aspetti del costume e della religiosità di Barletta nel corso dei secoli. 
La situazione determinata dalle camere mortuarie denunzia una forte compromissione delle strutture precedenti che comunque offrono spunti di lettura e di interpretazione. A cominciare dalle testimonianze più antiche che riguardano le tombe a grotti cella riemerse, seppure con gravi lacune, nelle quali si riconosce il corridoio d’accesso alle camere sepolcrali inquadrate da stipiti e architrave in tufo e con lastroni di chiusura. 
Gli oggetti del corredo mostrano poi il succedersi di più inumazioni almeno nella struttura meglio conservata, una tomba di famiglia che subì nel corso della frequentazione trasformazioni evidenti. Alcuni vasi si riferiscono al corredo più antico: sono gli askoi, a forma di otre, acromi e con decorazione listata, cioè a fasce entro cui si dispongono tralci vegetali, motivi geometrici e figure miniaturistiche. 

Successive sono, invece, le coppette a vernice nera, lo speccho di bronzo e la serratura completa di chiodi, residuo di una cassetta di legno che per la deperibilità del materiale non si è conservata. Questa parte della necropoli rimanda lala zona residenziale della città romana, dove – secondo la tradizione indigena – gruppi di tombe si inserivano tra le case; su questo tratto urbano del vicus tardo antico di Bardulos sulla via Traiana – come nella Tabula Peutigeriana è ricordata l’antica Barletta – si insediò un edificio di culto che mostra, nonostante le gravi compromissioni, un notevole impegno dal punto di vista decorativo.

La chiesa a pianta basilicale è a tre navate divise da due file di colonne o di pilastri di cui restano i plinti quadrangolari ed è conclusa da un’abside orientata. Misurava in lunghezza 29 metri circa per una larghezza di circa 20 e gli spazi delle navate dovevano comprendere da otto a dieci campate: le dimensioni erano quindi più ampie – almeno in larghezza – di quelle della chiesa romanica. 
Il presbiterio presentava, al termine della navata centrale, una recinzione sopraelevata su cui erano disposti plutei e transenne e includeva due spazi di diversa dimensione. La navata meridionale, invece, era chiusa sul fondo da un ambiente di cui non è chiara la funzione. All’esterno, nella parte meridionale, sono emerse murature che si riferiscono ad ambienti anch’essi pavimentati a mosaico: si affiancavano alla Basilica e appartenevano a un complesso architettonico assai vicino per tecnica e decorazione alla chiesa, anche se difficile definire la funzione.

Testi: http://www.abarletta.it/guida-turistica/monumenti/cattedrale-di-santa-maria-maggiore/


BASILICA DEL SANTO SEPOLCRO XI-XII Secolo
Le notizie più antiche riguardanti la Chiesa del S. Sepolcro risalgono al 1061: in una lettera dell'Arcivescovo Bisanzio, infatti, si parla di alcune concessioni e privilegi conferiti alla chiesa che già esisteva nel sobborgo di S. Sepolcro. 

Si è certi che l'attuale chiesa sia stata costruita su un'altra più antica che si trovava fuori le mura della città "extramoenia". Nel 1162, in pieno periodo normanno, avvenne l'allargamento della cinta muraria fino ad inglobare l'edificio "intramoenia". 

La chiesa è ubicata alla confluenza di due importanti strade: una per Canosa, l'altra verso Salpi, collegata alla via Francigena che i pellegrini percorrevano nell'itinerario verso la Terra Santa; divenne, quindi, un importante crocevia per crociati e pellegrini che trovavano alloggio e ristoro nell'Ospedale dei Pellegrini adiacente alla chiesa. 
Nel XVI secolo fu annessa ai Cavalieri di Malta. La sua struttura architettonica è di stile Romanico-Pugliese del secolo XII-XIII, con influssi orientali e borgognoni.

Arciconfraternita del Santo Legno della Croce                               In questa cappella “dei Crocisti” al centro dell’altare, nel Tabernacolo, custode il Parroco, unitamente all’Arciconfraternita, si conserva l’Insigne Reliquia della vera Croce di Cristo.
Essa fu portata dal Patriarca di Gerusalemme quando nel 1291, presa San Giovanni d’Acri, si rifugiò in questa Chiesa insieme ai Canonici del Santo Sepolcro.
Il Legno è racchiuso in un Reliquiario che era la croce astile del Patriarca stesso, magnifico Cimelio formato di lamini di argento e oro, sulle quali sono incastonate pietre preziose ed è ornato di rilievi simbolici: Nostro Signore e gli Evangelisti.
Il pezzo del Santo Legno segue la forma della Croce Patriarcale, cioè binata, ed ha una lunghezza di cm. 18, mentre le due traverse misurano  10 e 6 cm. ognuna.
Una tradizione ininterrotta di secoli, oltre che il cimelio in sé, assicura l’autenticità della Reliquia per la sua provenienza.
Il culto della città verso la Santa Croce è cresciuto sempre di più nei secoli, tanto da spingere con triplice voto nel 1496, 1515, 1656, l’Amministrazione Comunale ad eleggerla Compatrona della Città di Barletta con la Madonna dello  Sterpeto e San Ruggero:
Si venera durante la processione vespertina del Venerdì Santo e quella della Festa della Esaltazione della Croce, il 14 settembre.
Al suo interno è conservato il noto Tesoro della Basilica del Santo Sepolcro che annovera:
- La Croce Patriarcale binata;
- Il Tabernacolo con il Cristo in Maestà in mandorla;
- La Colomba eucaristica in rame dorato;
- L'Ostensorio risalente al XII secolo.
- Il Breviario-Rituale di origine gerosolimitana, del XII secolo.


LA CHIESA DEI GRECI
La chiesa è costruita al livello di un primo piano ( m. 2,10 sopra il livello stradale) ed è l’unica chiesa in Barletta che presenta questa particolarità.
All’ingresso principale si accede mediante una scalinata costituita da due rampe opposte, che terminano in un piccolo pianerottolo. La facciata è semplice priva di interesse architettonico, sviluppata sul lato lungo della pianta. La porta d ‘ingresso è sormontata da due mezzi archetti e un ovale posto al centro dove era visibile fino a qualche anno fa un agnello dipinto.
L’interno è costituito da un’aula rettangolare orientata verso est-ovest , con un pavimento in maiolica di ambito napoletano, nelle tonalità del verde e dell’ocra.
Addossati ai lati lunghi due fila di stalli ( stassidia ) del XVIII sec. realizzati in legno di pioppo, destinati ai fedeli di sesso maschile che si appoggiavano durante le liturgie. Sulla parete ovest si trovano un altro gruppo di stalli i cui tre sedili centrali mostrano una maggiore finitura del legno e sono sormontati da un baldacchino ed erano destinati alle autorità religiose.
Sito sulla parete sinistra, al di sopra degli stalli , il pulpito ascrivibile tra la fine del XVIII sec. e i primi del XIX sec.: realizzato in legno di pioppo, sul dossale presenta un dipinto raffigurante il Cristo benedicente alla greca .
Coevo agli stassidia e al pulpito il matroneo posto in fondo alla chiesa frontalmente all’iconostasi. Costituito da una grata e da una balaustra è rifinito da un cornicione in argento meccato.
Nella zona del Santuarium sul lato sinistro in una nicchia a mezza cupola l’altare della Prothesis, all’interno del quale è dipinto un piccolo affresco di ottima fattura raffigurante il “ Cristo in pietà”.


EVENTI

BARLETTA PROCESSIONE EUCARISTICA 

La partecipazione alla Processione Eucaristica si avvia dalla Cattedrale di Santa Maria Maggiore e si snoda per le principali vie della città nella tarda mattinata del venerdì santo.

Questa Processione cominciata il Giovedì dell’anno 1504, rimessa al Venerdì verso il 1548, rappresenta un rito unico visibile soltanto a Barletta. 

Infatti, per speciale dispensa pontifica è consentito ai canonici di Santa Maria di portale per le strade di Barletta il Santissimo Sacramento, venerato in un’urna argentea affidata a quattro diaconi canonici scalzi in segno di penitenza.

Fu la devozione dei barlettani nei confronti del Santissimo Sacramento a istituire questa imponente processione penitenziale, alla quale partecipano tutte le Confraternità della città e l’intero corpo sacerdotale.

A differenza di tutte le altre processioni del territorio, a Barletta non si trasportano le statue dei cosiddetti “Misteri”, ma si consuma da sempre il rito della venerazione dell’Eucarestia, proprio durante le ore della passione di Cristo, per eccezionale concessione della Santa Sede.


LA DISFIDA DI BARLETTA

La Cantina della sfida

Nel centro storico di Barletta l'osteria "di Veleno", più nota come la "cantina della disfida" è il luogo in cui, secondo la tradizione, il francese La Motte offese l'onore dei soldati italiani, qualificandoli poltroni, incapaci e traditori. L'onta fu lavata con le armi in quella che è passata alla storia come la "Disfida di Barletta". 

La disfida di Barletta fu uno scontro medievale tenutosi il 13 febbraio 1503 nella mattina di Sant'Elia (in territorio di Trani, all'epoca dei fatti sotto giurisdizione veneziana), fra tredici cavalieri italiani (sotto l'egida spagnola) e altrettanti cavalieri francesi. Il confronto finì con la vittoria degli italiani.
Oggi si può ancora osservare l'epitaffio che Ferrante Caracciolo, duca d'Airola, fece erigere nel 1583. Fu recuperato nel 1846 a cura del Capitolo metropolitano di Trani. Nel 1903 vennero aggiunti i versi di Giovanni Bovio.


Il contesto
L'11 novembre 1500Luigi XII di Francia e Ferdinando II di Aragona firmarono il Trattato di Granada, col quale si accordarono sulla spartizione in parti uguali del Regno di Napoli, all'epoca governato da Federico I di Napoli. L'anno successivo, le truppe francesi e quelle spagnole penetrarono in territorio napoletano rispettivamente da nord e da sud. Federico I fu presto costretto alla resa e il suo regno fu diviso fra Francia ed Aragona.

Immediatamente, nacquero i primi disaccordi fra le forze occupanti sulla interpretazione del trattato, che lasciava indefinita l'effettiva attribuzione della terra di mezzo fra i possedimenti dei due regni. Nell'estate del 1502, si aprirono le ostilità fra i due eserciti, comandati rispettivamente da Louis d'Armagnac e da Consalvo di Cordova. Gli spagnoli, in inferiorità numerica rispetto ai francesi, acquisirono il supporto dei Colonna (precedentemente al servizio di Federico I). La tensione progressiva si suggellò in alcune battaglie che videro tra gli altri protagonista il condottiero italiano Ettore Fieramosca.

Alle volte, anziché a scontri in campo aperto, si ricorreva a sfide in ambito cavalleresco, spesso tenute nell'area di Barletta. Una delle più famose sfide fu quella del 1502, svoltasi fuori dalle mura di Trani, nella quale si affrontarono undici cavalieri spagnoli e altrettanti cavalieri francesi, ottenendo solo un nulla di fatto.

Durante le prime fasi della guerra, i francesi avanzarono nettamente in direzione sud e occuparono larga parte del territorio spagnolo, riducendoli a poche roccaforti in Puglia e Calabria. Gli spagnoli stabilirono così a Barletta (all'epoca importante centro commerciale adriatico) il loro quartier generale, dal quale amministravano i sempre più ristretti possedimenti del Regno di Napoli.

LA DISFIDA

Causa e preparazione del duello

I francesi si erano spinti fino a Canosa di Puglia, dove vennero impegnati in una breve scaramuccia dagli spagnoli. Alla fine dello scontro, le truppe di Diego de Mendoza catturarono e tradussero a Barletta vari soldati francesi, fra cui il nobile Charles de Torgues, soprannominato Monsieur Guy de la Motte.

Il 15 gennaio 1503, i prigionieri furono invitati ad un banchetto indetto da Consalvo da Cordova in una cantina locale (oggi chiamata Cantina della Sfida). Durante l'incontro, la Motte contestò il valore dei combattenti italiani, accusandoli di codardia. Lo spagnolo Íñigo López de Ayala difese invece con forza gli italiani, affermando che i soldati che ebbe sotto il suo comando potevano essere comparati ai francesi quanto a valore.

Si decise così di risolvere la disputa con un duello: la Motte chiese che si sfidassero tredici (in origine dieci) cavalieri per parte il 13 febbraio nella piana tra Andria e Corato. Il duello venne programmato nei minimi dettagli: cavalli ed armi degli sconfitti sarebbero stati concessi ai vincitori come premio, il riscatto di ogni sconfitto fu posto a cento ducati e furono nominati quattro giudici e due ostaggi per parte.

Prospero Colonna e Fabrizio Colonna si occuparono di costruire la "squadra" italiana, contattando i più forti combattenti del tempo. Capitano dei tredici cavalieri italiani sarebbe stato Ettore Fieramosca, che si occupò dello scambio di missive con la controparte francese, Guy la Motte.

I cavalieri italiani e spagnoli pernottarono ad Andria, nella cui Cattedrale Fieramosca e gli altri seguirono la messa d'augurio il giorno del duello, e fecero giuramento di vittoria o di morte. I francesi invece rimasero a Ruvo di Puglia, dove erano attestati con le truppe, partecipando alla messa nella Chiesa di San Rocco.

I partecipanti

Di seguito, i tredici partecipanti, i quattro giudici e i due ostaggi che presero parte alla disfida.

Arms of Ferdinand I of Naples.svg
Italiani
Cavalieri Scudo francese
Francesi
Ettore Fieramosca Charles de Torgues
Francesco Salamone Marc de Frigne
Marco Corollario Girout de Forses
Riccio da Parma Claude Grajan d'Aste
Guglielmo Albimonte Martellin de Lambris
Mariano Abignente Pierre de Liaye
Giovanni Capoccio Jacques de la Fontaine
Giovanni Brancaleone Eliot de Baraut
Ludovico Aminale da Terni Jean de Landes
Ettore Giovenale Sacet de Sacet
Fanfulla da Lodi François de Pise
Romanello da Forlì Jacques de Guignes
Ettore de' Pazzis o Miale da Troia Naute de la Fraise
Giudici di Campo
Francesco Zurolo (o Zurlo) Lionnet Du Breuil[11]
Diego Vela Monsieur de Murtibrach
Francesco Spinola Monsieur de Bruet
Alonzo Lopez Etum Sutte
Ostaggi
Angelo Galeotta Monsieur de Musnai
Albernuccio Valga Monsieur de Dumoble

Il duello
Il duello avvenne in un'area recintata dai giudici delle due parti. Gli italiani furono i primi a giungere sul posto, seguiti di lì a poco dai francesi, che ebbero il diritto di entrare per primi nel campo. Le due formazioni di cavalieri si disposero su due file ordinate, contrapposte l'una all'altra, per poi caricarsi vicendevolmente lancia in resta.

Jean d'Auton, tuttavia, afferma che gli italiani si avvalsero di uno stratagemma: anziché caricare, arretrarono fino ai limiti del campo di battaglia e aprirono dei varchi nelle proprie file per far fuoriuscire dall'area alcuni cavalieri francesi, riuscendo con alcuni di loro nel tentativo. Il vescovo Paolo Giovio riporta che i cavalieri italiani rimasero fermi sulle loro posizioni con le lance abbassate, in attesa della carica francese.

Il primo scontro non causò gravi danni alle parti, ma mentre gli italiani mantennero sostanzialmente salda la posizione, i francesi sembrarono leggermente disorganizzati. Due italiani finirono disarcionati, ma una volta rialzatisi cominciarono ad uccidere i cavalli dei francesi, costringendoli a piedi.

Lo scontro continuò con spade e scuri, finché tutti i francesi vennero catturati o feriti uno dopo l'altro dagli italiani, che conseguirono una netta vittoria. Jean d'Auton riporta di tale Pierre de Chals, della Savoia, unico combattente francese a rimanere in piedi fino all'ultimo: de Chals, tuttavia, non viene citato da nessun'altra fonte. Giovio afferma che un combattente francese, tale "Claudio" (presumibilmente riferendosi a D'Aste), morì per una grave ferita alla testa.

Sicuri della vittoria, i francesi non avevano portato con loro i soldi del riscatto e furono così condotti in custodia a Barletta, dove fu Consalvo in persona a pagare di tasca propria il dovuto per poterli rimettere in libertà. La vittoria degli italiani fu salutata con lunghi festeggiamenti dalla popolazione di Barletta e con una messa di ringraziamento alla Madonna, tenutasi nella Cattedrale di Barletta.

Eredità e valutazioni postume sull'evento

La portata della disfida fu largamente maggiore ai suoi reali effetti. La vittoria fu celebrata per tutta l'Italia, un simile risultato stemperò i duri giudizi che i francesi riservavano ai cavalieri italiani e per secoli se ne usò il nome per omaggiare le virtù militari degli italiani. Tuttavia, l'attaccamento dimostrato a un evento del tutto secondario nello scenario delle guerre d'Italia del XVI secolo vale a sottolineare il complesso d'inferiorità sofferto dagli italiani innanzi alle invasioni straniere, malgrado le deficienze dipendessero maggiormente dalla scarsa organizzazione che dal valore dei soldati.

Il Procacci nel suo libro "La disfida di Barletta: tra storia e romanzo" riporta che lo storico Nunzio Federigo Faraglia commentò che "gli italiani si tenevano paghi e vendicati dal prospero evento di una giornata, mentre due re stranieri si contendevano la signoria d'Italia, né i tredici cavalieri militavano per la patria, anzi col loro valore affrettarono la conquista [spagnola] del Regno e la dura servitù di due secoli". Il poeta Giovanni Battista Lalli ironizzò nella "Franceide" sul vero motivo della disfida, indicandolo nella contesa sulla paternità della sifilide - detta appunto "mal francese" dagli italiani e "mal di Napoli" dai francesi.

Nel XX secolo, il fascismo declinò l'evento in chiave patriottica e in quest'ottica la disfida raggiunse il massimo della sua fama. Mussolini usò l'evento facendo leva sul sentimentalismo nazionale e la riscossa contro lo straniero, ignorando però che tale sentimento era sconosciuto nell'Italia del XVI secolo e soprattutto che i 13 cavalieri italiani combatterono sotto i colori spagnoli. Da ricordare, a tal proposito, il film Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, opera di chiaro stampo nazionalistico che ha ben poco di storico. È indicativa, per esempio, la risposta di Ettore Fieramosca, quando Prospero Colonna chiede al capitano degli italiani di spiegare a Consalvo di Cordoba perché gli italiani si mostrassero in campo senza piume sugli elmi e bandati di nero: "In segno di lutto per i nostri compagni caduti e del nostro popolo diviso".

La controversia su Grajan d'Aste

La figura del cavaliere francese Claude Grajan d'Aste è al centro di un lungo dibattito storico, riguardante numerosi aspetti: dalla sua reale identità al comportamento in battaglia, alla sua sorte.

Sebbene varie fonti attribuiscano nazionalità francese al cavaliere, Grajan d'Aste è spesso riportato da fonti italiane come Graiano d'Asti (all'epoca dei fatti la Contea di Asti apparteneva a Luigi d'Orleans futuro re di Francia col nome di Luigi XII per via dell'eredità viscontea), ossia come un cavaliere astigiano che scelse di combattere per parte francese. Il primo a esprimere tale tesi è Giovio, secondo cui Graiano era "nato in Aste colonia d'Italia" e "poco onoratamente, se non a torto, aveva preso l'armi per la gloria d'una nazione straniera contra l'onor di patria". Nemmeno sulla sorte del cavaliere dopo la disfida ci sono certezze: sebbene si concordi che d'Aste venne gravemente ferito, Summonte riporta che questi scelse di arrendersi agli italiani, mentre Giovio afferma che "meritatamente morisse" in seguito a gravi ferite alla testa.

La tesi del "traditore" fu recepita soprattutto nelle rappresentazioni letterarie e cinematografiche italiane. Per esempio, Massimo d'Azeglio nel suo romanzo Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta descrive Grajan d'Aste (chiamato "Grajano d'Asti") come "di que' tali che ne vanno dieci per uscio, né bello né brutto, né buono né cattivo; assai buon soldato bensì, ma che avrebbe servito il Turco se meglio lo avesse pagato", per poi sceneggiare un acceso scambio di battute fra lui e Fieramosca, il quale, notato il suo nome nella lista di cavalieri francesi, arriva a definirlo senza mezzi termini "traditore". Il cavaliere verrà poi affrontato in duello da Giovanni Brancaleone, che lo ucciderà con un profondo colpo alla testa.

Nella già citata pellicola di Blasetti, nel rispondere all'esultanza di un cavaliere spagnolo per il disarcionamento dei primi due francesi, tra cui Graiano d'Asti, Prospero Colonna commenta che questi "era già condannato prima di combattere e così sia di tutti i traditori".

La contesa sul nome

Verso i primi anni trenta, vi fu una dura polemica sul luogo in cui erigere un nuovo monumento in ricordo della Disfida, che si trasformò in una lotta sul nome stesso della disfida.

Nell'ottobre 1931, l'avvocato di Trani Assunto Gioia pubblicò un opuscolo nel quale riteneva che la disfida avrebbe dovuto prendere il nome da Trani e non da Barletta, essendo stata combattuta in territorio tranese. Il 28 ottobre, il sottosegretario Sergio Panunzio pubblicò un articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno, nel quale manifestò ampio sostegno alla tesi di Gioia. Fra il 2 e il 3 novembre, risposero Salvatore Santeramo su Il Popolo di Roma e Arturo Boccassini, la cui lettera fu rifiutata dalla Gazzetta del Mezzogiorno per motivi politici e che fu pubblicata sotto forma di opuscolo.

Nella contesa si inserì anche Bari, dove il 3 novembre venne fondato un Comitato per far sì che il capoluogo pugliese diventasse sede del nuovo monumento alla Disfida. Nel Comitato, figuravano vari alti esponenti del Partito Nazionale Fascista come l'allora Capo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Attilio Teruzzi, il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo di Crollalanza e il vicesegretario del PNF Achille Starace.

La notizia della costituzione del comitato barese generò forti contestazioni a Barletta: un gruppo di manifestanti entrò nel comune e prelevò a forza il bozzetto in gesso del monumento, portandolo in mezzo alla piazza e depositandolo su un improvvisato piedistallo. La questione sembrò rientrare, ma il 7 novembre Boccassini venne destituito dalla sua carica di segretario politico del locale PNF. La decisione provocò nuove manifestazioni, che degenerarono in primi scontri con le forze dell'ordine. Il 10 novembre, quando arrivò il nuovo Commissario prefettizio, la popolazione proruppe in un lancio di sassi contro i Carabinieri, che a loro volta risposero sparando sulla folla, uccidendo due persone.

Lo storico italiano Piero Pieri afferma nel saggio Il Rinascimento e la crisi militare italiana che sarebbe stato più esatto chiamarla "Disfida di Andria".

Barletta afferma oggi all'articolo 5 del suo Statuto comunale che "Il Comune di Barletta assume il titolo di Città della Disfida a ricordo della storica Sfida del 13 febbraio 1503".

Testi tratti da: https://it.wikipedia.org/wiki/Disfida_di_Barletta

La Cantina della Disfida è aperta al pubblico. 
Cantina della Sfida - via Cialdini - ORARI: mattina dalle ore 9.00 alle ore 13.00; pomeriggio dalle ore 15.00 alle ore 19.00 - Ingresso gratuito


Il Teatro Curci
Nel 1817 a Barletta fu costituita una società allo scopo di costruire un teatro intitolato a San Ferdinando. 
Il Comune, proprietario dell'area, pur approvando il progetto, si riservò tuttavia il diritto di assumerne il possesso qualora la società non fosse più in grado di gestirlo. 
Dedicato al sovrano napoletano, il teatro fu inaugurato il 4 ottobre del 1819: conteneva 168 posti a sedere in platea e 32 palchi, oltre al loggione. 

Purtroppo nel 1864, parte della struttura cedette.
Non essendo in grado di provvedere economicamente alla ristrutturazione, la società chiese l'intervento del Comune che pensò bene di rilevarlo. 
Visti gli altissimi preventivi di spesa si decise infine di abbatterlo. 

Inaugurato nell'aprile del 1872, il nuovo edificio fu intitolato al musicista barlettano Giuseppe Curci, nel 1877, anno della sua scomparsa. 

Rispetto al precedente, il nuovo teatro aveva una maggiore capienza di spettatori, comprendendo anche degli ambienti di rappresentanza: vestibolo, bar, sala per fumatori e persino una sala da ballo nei piani superiori.


PALAZZI NOBILIARI

PALAZZO DELLA MARRA XVII Secolo
Da Marra a De Nittis

Palazzo Della Marra risulta essere un unicum nel panorama dell’architettura nobiliare barlettana.Gli studi più recenti ne attribuiscono la committenza, nella seconda metà del 1500, al nobile Lelio Orsini, ricchissimo aristocratico napoletano; alla sua morte nel 1633 il palazzo fu acquistato da un ramo della più potente delle famiglie barlettane: i Della Marra, proprietari fino al 1743. 

Il Palazzo si ergeva isolato e la facciata principale, a seguito di questo passaggio di proprietà, fu spostata su via Cialdini con l’apertura di un portone decorato da due allegorie della vecchiaia e della giovinezza. 
Il sontuoso balcone è sorretto da cinque mensole ornate da mostri, cani e grifi terminanti con mascheroni con la bocca aperta. Lungo la facciata, all’altezza del balcone, corre un fregio che riporta la scritta “DELLA MARRA”. 
La ricca decorazione della loggia ripropone temi allegorici delle stagioni della vita. Successivamente il Palazzo passa alla nobile famiglia Fraggianni nel sec. XVIII e a Donato Ceci agli inizi del 1900. 

Poi c’è stata l’acquisizione da parte del Demanio Statale nel 1958 e i restauri del 1971. 

Storia
Su un edificio preesistente, probabilmente in stile gotico, di cui resta testimonianza in un arco ogivale, la nobile famiglia della Marra fece costruire l'attuale splendido palazzo che, appunto, da questa antichissima famiglia barlettana prende il nome.
Il palazzo, che fu di proprietà dei della Marra fino alla loro estinzione nel XVIII secolo, è rimasto immutato nel suo aspetto esteriore.

Si tratta probabilmente dell'unico esempio, certamente il più notevole e splendido, di "barocco leccese" al di fuori dell'area salentina. 
Il maestro costruttore, l'architetto leccese Cesare Perna, infatti, fu espressamente chiamato dalla famiglia di Barletta per la trasformazione delle due facciate che si affacciano rispettivamente sulla antica strada delle carrozze e il quartiere delle "sette rue" e verso il mare con una loggia monumentale di uguale suggestione.


Sede della Pinacoteca

La mostra dal titolo “De Nittis e Tissot. Pittori della vita moderna” è stata la grande occasione espositiva con la quale si inaugura la nuova e definitiva sede della Pinacoteca Giuseppe De Nittis, istituita in seguito alla donazione di 172 fra dipinti, pastelli e incisioni donati a Barletta dalla moglie di De Nitts, Léontine Gruvelle.

Palazzo Della Marra in Via Cialdini n. 74
Nuovo allestimento espositivo della collezione Giuseppe De Nittis
ORARI: dalle ore 9.00 alle ore 19.00 chiusura biglietteria ore 18.15


PRANZO, CENA E COLAZIONE
Pasticceria Daloiso Per una dolce e ottima colazione, specialmente per chi scende alla stazione di Barletta, non si può fare a meno di fare una sosta in via Indi
pendenza (150 mt dalla stazione), presso la Pasticceria Daloiso, nome importante tra le stelle dell'alta pasticceria. Qui trovate il meglio della pasticceria e, oltre alle morbide brioches ripiene, tra cui spicca quella con ripieno di crema di pistacchi, ricordatevi di chiedere il dolce "Africa" . Una specialità dello chef Daloiso premiata ad un concorso internazionale.
La pasticceria Daloiso è divenuta in beve tempo un punto di riferimento per tutti i gourmet. Un luogo in cui incontrarsi per condividere piacevoli attimi di relax coccolando il palato egli occhi. Forte di una grande varietà nell’offerta dei suoi prodotti, la storica pasticceria è un’immancabile tappa in cui ritrovarsi per rendere più dolce la giornata, scandendola ai ritmi di ricche colazioni al mattino, gustose pause pranzo, piacevoli pomeriggi in cui abbinare mignon e torte al servizio di 
caffetteria e concludere poi la serata all’insegna della dolcezza.
Pasticceria Daloiso - Via Indipendenza, 16/c - Barletta - Tel. +39 0883 000000


Ristorante Antica Cucina

Lo si trova nella zona del del porto, nella piazza della maestosa Porta Marina; l'unica porta antica esistente, che un tempo segnalava l’ingresso alla città di Barletta, e che merita una visita.  

L'Antica Cucina è un locale luminoso, elegante, pregevole, dove spicca l'ottima cucina di grande qualità, con pesce freschissimo così come tutti i prodotti che vengono utilizzati. 
Il proprietario Lello, il Filosofo, ha il "pallino" dei prodotti di base di massima qualità, che fanno naturalmente la differenza. L'accoglienza è il secondo pallino di Lello e dello staff di sala; molto professionale. 


Noi abbiamo letteralmente degustato lo sformato di rape con provola affumicata, seguito dall'eccellente primo a base di tagliolini al rombo con canestrato. Deliziosi anche i diversi panini impreziositi dai vari sapori del territorio. 
Per finire... un ottima cassata siciliana. Il tutto accompagnato dal vino rosato Castel del Monte, una Docg recente che nulla ha da invidiare ai blasonati vini di fama internazionale. 
Se passate da Barletta, non dimenticatevi di fare una sosta a questo ristorante:
RISTORANTE ANTICA CUCINA - da Lello il Filosofo
Piazza Marina 4/5/6 - tel.0883/521718 - www.anticacucina1983.it 


IL BRIGANTINO  Ristorante, Bar, Pizzeria, Terrazza sul mare; Stabilimento Balneare
 
Un luogo tutto tondo dove vivere il mare, con la sua spiaggia, il ristorante sul mare, i piatti cucinati con arte e passione, le serate di musica, il locale da scegliere per tutte le cerimonie e feste, e per brindare con gli amici.
Creato e gestito da una famiglia che per generazioni ha costruito la propria attività sul lungomare di Levante a Barletta. 

Se chiedete in giro, sembra che tutti i barlettani abbiano pranzato, cenato o partecipato a una festa di matrimonio presso il Brigantino o il Brigantino2 (altro locale adibito per le grandi cerimonie). 

Il ristorante propone un'ottima cucina di prodotti tipici, tra cui spicca il pesce fresco cotto e servito nelle più svariate ricette, realizzate dallo chef Vincenzo De Palo. 
Si inizia con una carrellata di antipasti che invitano all'assaggio, si prosegue con i primi piatti tra cui consiglio gli spaghetti con vongole e bottarga, o i mezzi paccheri alla pescatrice. Per chi ha ancora fame, ottima è l'Orata con olive, cucinata in forno. Non si può non finire con il delizioso babà con crema di noci.

Per i vini nessun problema, l'ampia selezione della cantina accontenta tutti. Particolare attenzione alle produzioni vinicole di qualità del territorio, tra cui consiglio il vino “Come d’Incanto 2015” delle Cantine Carpentiere: un emozionante Nero di Troia vinificato in bianco, strutturato e ricco d'intensi profumi, piacevolmente abbinabile con tutte le portate di pesce.

Il Brigantino - Viale Regina Elena 19, Littoranea di Levante - 76121 Barletta
tel. 0883/533345 - tel/fac 0883/533248 - e-mail: info@brigantino.it - sito: www.brigantino.it 


Dove dormire

BED & BREAKFAST DE NITTIS 
ha due strutture molto interessanti in palazzi storici e vicinissimi al centro. Certificato di Eccellenza - Vincitore 2015 di tripadvisor
il titolare Riccardo e sua moglie accolgono i loro ospiti con grande cordialità e disponibilità. Le camere arredate con buon gusto e fantasia, sono tutte fornite di servizi.

Vico del Lupo 9 e Via Roma 83 - BARLETTA
tel. +39 0883 571310 - cell. +39 338 5928577
e-mail: info@bbdenittis.com - prenota con un click su www.bbdenittis.com


 

Registrazione newsletter

Iscriviti per ricevere la nostra newsletter