Gorizia

Gorizia: “La città giardino”

In una ridente conca ai piedi delle Prealpi Giulie e del Carso, sorge Gorizia, una vivace cittadina segnata da una storia travagliata che l’ha vista crocevia di diverse etnie, culture e religioni. Qui si sente parlare indistintamente in friulano, gradese, bisiaco, sloveno,veneziano e triestino; se il Friuli è dunque, citando Svevo, un “piccolo compendio dell’universo”, si può proprio dire che Gorizia sia una sorta di sintesi dell’Europa.

L’etimologia del nome è da farsi risalire al proto-slavo “gorica” (monticello), toponimo riferito al colle del castello, sede del primo insediamento urbano e del suo successivo sviluppo. Il Castello, residenza per quattro secoli dei conti di Gorizia e simbolo della città, domina tutto il territorio circostante ed è visibile a molti chilometri di distanza. Si raggiunge risalendo un erto cammino che parte da Piazza Cavour e costeggia i bastioni cinquecenteschi, terminando nella Porta Leopoldina, che dà l’accesso al borgo.
La cinta muraria, formata da sei torrioni cilindrici del ‘500, racchiude al suo interno le antiche strutture del duecentesco Palazzo dei Conti e del quattrocentesco Palazzo degli Stati Provinciali. Visitare l’interno del castello, respirando l’atmosfera degli antichi manieri tedeschi, è un’esperienza unica, indimenticabile. La luce che riverbera dalle finestre rende le sale realmente suggestive e per un attimo si può avere la sensazione di sentire i passi dei soldati armati o figurarsi i personaggi e gli avvicendamenti della sua storia. Terminata questa affascinante scoperta, si può ridiscendere verso il vecchio nucleo della città e incontrare la graziosa e trecentesca chiesetta di Santo Spirito, costruita nel 1398 e con un originale facciata in pietra grezza.

Ma Gorizia è soprattutto la “città giardino” che si guadagnò nei secoli l’appellativo di “Nizza Austriaca”, per l’equilibrio impeccabile, che continua a permanere, tra architettura e verde pubblico e privato. Qui il profili delle case e delle chiese e l’atmosfera dei caffè ricordano costantemente l’impronta mitteleuropea.
Purtroppo, anche su una città così appartata e quieta, che stava vivendo senza troppi sussulti il tramonto dell’Impero Asburgico, si abbatté la furia della prima guerra mondiale. Tutta la provincia ne fu sconvolta e andarono distrutti la maggior parte dei monumenti e delle testimonianze artistiche. Le cicatrici di quella tragedia sono ancora ben visibili nei resti delle trincee, camminamenti, fortilizi che solcano tutta la provincia. Chi volesse approfondire l’argomento può visitare il Museo della Grande Guerra a Gorizia, che raccoglie cimeli e armi, ma che intende soprattutto “raccontare la guerra” a partire dal territorio.
Un vero e proprio “percorso di guerra” può snodarsi invece tra alcune località della provincia, come Redipuglia, con il suo celeberrimo Sacrario con le spoglie di centomila caduti e un osservatorio da cui individuare i luoghi di tante battaglie, come San Martino del Carso (citato dalla famosa poesia di Ungaretti), il monte San Michele, il monte Calvario, il fiume Isonzo; oppure Oslavia, dove sorge il monumentale sacrario militare con le salme di 57 mila duecento caduti.
Nonostante il suo sofferto passato, Gorizia non mancherà di incantarvi con la sua atmosfera inebriante e particolare che si respira in ogni angolo, dal Borgo Medievale, alle viuzze del centro storico, dalle raffinate ville degli inizi del Novecento alle caratteristiche botteghe dell’ex ghetto. La sua chiesa più famosa è quella barocca di Sant’Ignazio, che richiama lo stile di molte chiese austriache, con le coperture in rame e le cupole a forma di cipolla.
Camminando per i vicoli del borgo medievale, si possono visitare il Palazzo Formentini e il maestoso Palazzo Attems Petzenstein, progettato da Niccolò Pacassi, un’artista di origine goriziana divenuto “Primo Architetto di Corte” a Vienna, concorrendo alla progettazione di Shoenbrunn. Il Palazzo è la sede tradizionale della Pinacoteca. Tra le vie del centro, spicca invece il Duomo, col suo splendido interno in stile rococò, i suoi altari barocchi e la pietra tombale con l’effigie di Leonardo, l’ultimo conte di Gorizia.

Ma anche i dintorni di Gorizia sapranno svelare al visitatore attento autentici tesori culturali e paesaggistici.

Grado
Non si può lasciare la provincia Gorizia senza visitare la sua “Isola d’Oro”, Grado, che dell’isola conserva tutte le caratteristiche, pur essendo collegata sin dal 1936 a un sottile terrapieno che porta alla terraferma mediante un ponte girevole.
Percorrere quei sei chilometri che collegano l’isola alla realtà è realmente emozionante e sembra quasi di sentire nell’aria le eco degli Aquileiesi che fuggivano da Attila per rifugiarsi qui.
Grado è una località dai mille volti: così come la misteriosa e suggestiva laguna che la circonda cambia colore e aspetto a seconda dell’orario e delle maree, così Grado cambia volto a seconda della prospettiva da cui la si guarda e da cosa ci si aspetta: può essere un antico borgo pieno di suggestioni storiche e artistiche, con le basiliche secolari di S. Eufemia e di S. Maria delle Grazie; un moderno centro balneare, con la lunga spiaggia sul lato meridionale dell’isola, gli alberghi, gli eleganti negozi; un pittoresco villaggio di pescatori, con le sue calli e le piccole botteghe artigiane; o ancora una stazione di cura, un centro di benessere, grazie alle sabbiature e alle cure talassoterapiche a cui è possibile sottoporsi nelle sue terme.

Gradisca d’Isonzo
Camminando per le vie di questa “piccola città” (il significato del nome “Gradisca” in slavo) immersi nella sua quiete della sua caratteristica opulenza provinciale e cullati dalla sinuosità del fiume che la costeggia, non si potrebbe davvero immaginare nulla del suo turbolento passato. Infatti, Gradisca acquistò importanza grazie alla temibile fortezza costruita dai Veneziani verso la fine del ‘400 per difendersi dalle scorrerie dei turchi, e ai cui lavori di rafforzamento contribuì anche Leonardo da Vinci. Passeggiando lungo i tre lati dell’antica cinta muraria e attraverso il tranquillo parco di ippocastani che rappresenta l’attuale volto della località, è difficile figurarsi la fortezza quale cruento teatro delle “guerre gradiscane” tra Venezia e gli Asburgo per il suo possesso. La spuntarono gli Austriaci e la città rimase sotto il loro dominio per ben quattro secoli.
Un breve itinerario può portare poi a visitare altri tre luoghi molto interessanti: Il Duomo, con la sua splendida facciata settecentesca, il Palazzo Torriani, ora sede della Galleria regionale d’Arte Contemporanea “Luigi Spazzapan” e la Casa dei Provveditori Veneti, che ospita nelle sue settecentesche sale l’Enoteca regionale Permanente “La Serenissima”, dove è piacevole soffermarsi per degustare gli ottimi vini D.O.C. del Friuli Venezia Giulia.

Cormons
Il Castrum di Cormontium fu probabilmente eretto dai Romani sul Monte Quarin, per sfruttare la posizione strategica di questa località aperta a sud sulla pianura friulana e protetta a nord da una serie ininterrotta di colline. Il castello medievale, che tuttora è il simbolo della città, si andò a sovrapporre a questa preesistente struttura. La rocca rappresenta un’importante testimonianza della storia lontana e recente di questo centro: qui si rifugiarono i Patriarchi di Aquileia con il bottino del saccheggio di Grado; qui dimorò Alberto, conte di Gorizia prima di cederla a Massimiliano I d’Asburgo; qui l’impavido generale della Repubblica di Venezia Bartolomeo Alviano fronteggiò gli austriaci, prima che i Veneziani la smantellassero definitivamente nel 1525.
Notevole anche la presenza di architettura religiosa, con un gran numero di chiese e cappelle, dal Duomo barocco con il suo svettante campanile alla chiesa di S. Caterina, detta anche di Rosa Mistica.
Ma Cormons è anche il centro economico più importante del Collio, quella felice regione collinare della provincia che si è rivelata particolarmente vocata alla viticoltura e dove si potrà percorrere un’inebriante strada del vino.

Un connubio di tradizioni culinarie

La gastronomia del Friuli rappresenta una riuscita sintesi di tradizioni alimentari differenti, tra cui svettano quella mitteleuropea, quella veneta e quella slava, il tutto permeato da un forte influsso di cucina popolare, che ha saputo creare piatti molto gustosi da materie prime molto povere. I nomi stessi delle specialità gastronomiche presentano sin dal suono gli influssi di culture culinarie diverse, che si manifestano anche in inediti ma deliziosi accostamenti del dolce col salato, del forte con l’amaro.
In particolare la cucina goriziana presenta numerosi piatti di influenza mitteleuropea, tra cui le diverse specialità di gnocchi a base di fegato, di semolino, di pane, e quelli speciali di patate con le susine, insaporiti con burro fuso, cannella e un sottile velo di zucchero.
Tra i secondi ottimo il keiserfleish, un carré di maiale affumicato, servito con kren fresco e crauti; le frittate con le erbe, tra cui la più celebre è “cu lis arbuzzis”, a base di dodici varietà di erbe diverse e tra i cui ingredienti nel passato c’era anche un pizzico di magia, come si deduce dalla sacralità del numero dodici; oppure i vari tipi di selvaggina, come fagiani, pernici, cervi, lepri e cinghiali, magari accompagnati da un contorno a base di kifel, patate dalla caratteristica forma a ferro di cavallo. Tra i dolci, avrete l’imbarazzo della scelta tra la gubana o prestniz (un rotolo di pasta sfoglia ripieno di frutta secca), la pinza (tradizionale focaccia dolce pasquale), la potiza (a base di pasta lievitata ripiena di frutta secca) e le palatschinken (omelette ripiene di cioccolata e marmellata di albicocche).
Una menzione a parte meritano i vini, che vantano una tradizione antichissima risalente ai Greci e ai Romani. Per cui, a seconda delle ricette, si può spaziare da robusti rossi (Merlot, Cabernet Sauvignon, Refosco dal Peduncolo Rosso, Terrano, Pinot Nero), a profumati bianchi (Tocai Friulano, Verduzzo Friulano - ottimo quello di Ramandolo-Malvasia istriana, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio, Ribolla, Riesling, Sauvignon, Traminer Aromatico) oltre al raro Picolit, considerato un prelibato “vino da meditazione”, per concludere con le grappe speciali, tra cui la monovitigno bianca, la stravecchia e le acquaviti aromatizzate alla frutta.

 

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