La Cantina della Disfida

LA CANTINA DELLA DISFIDA 

Nel centro storico di Barletta l'osteria "di Veleno", più nota come la "cantina della disfida" è il luogo in cui, secondo la tradizione, il francese La Motte offese l'onore dei soldati italiani, qualificandoli poltroni, incapaci e traditori. L'onta fu lavata con le armi in quella che è passata alla storia come la "Disfida di Barletta".

La disfida di Barletta fu uno scontro medievale tenutosi il 13 febbraio 1503 nella mattina di Sant'Elia (in territorio di Trani, all'epoca dei fatti sotto giurisdizione veneziana), fra tredici cavalieri italiani (sotto l'egida spagnola) e altrettanti cavalieri francesi. Il confronto finì con la vittoria degli italiani.

Oggi si può ancora osservare l'epitaffio che Ferrante Caracciolo, duca d'Airola, fece erigere nel 1583. Fu recuperato nel 1846 a cura del Capitolo metropolitano di Trani. Nel 1903 vennero aggiunti i versi di Giovanni Bovio.


IL CONTESTO

L'11 novembre 1500Luigi XII di Francia e Ferdinando II di Aragona firmarono il Trattato di Granada, col quale si accordarono sulla spartizione in parti uguali del Regno di Napoli, all'epoca governato da Federico I di Napoli. L'anno successivo, le truppe francesi e quelle spagnole penetrarono in territorio napoletano rispettivamente da nord e da sud. Federico I fu presto costretto alla resa e il suo regno fu diviso fra Francia ed Aragona.

Immediatamente, nacquero i primi disaccordi fra le forze occupanti sulla interpretazione del trattato, che lasciava indefinita l'effettiva attribuzione della terra di mezzo fra i possedimenti dei due regni. Nell'estate del 1502, si aprirono le ostilità fra i due eserciti, comandati rispettivamente da Louis d'Armagnac e da Consalvo di Cordova. Gli spagnoli, in inferiorità numerica rispetto ai francesi, acquisirono il supporto dei Colonna (precedentemente al servizio di Federico I). La tensione progressiva si suggellò in alcune battaglie che videro tra gli altri protagonista il condottiero italiano Ettore Fieramosca.

Alle volte, anziché a scontri in campo aperto, si ricorreva a sfide in ambito cavalleresco, spesso tenute nell'area di Barletta. Una delle più famose sfide fu quella del 1502, svoltasi fuori dalle mura di Trani, nella quale si affrontarono undici cavalieri spagnoli e altrettanti cavalieri francesi, ottenendo solo un nulla di fatto.
Durante le prime fasi della guerra, i francesi avanzarono nettamente in direzione sud e occuparono larga parte del territorio spagnolo, riducendoli a poche roccaforti in Puglia e Calabria. Gli spagnoli stabilirono così a Barletta (all'epoca importante centro commerciale adriatico) il loro quartier generale, dal quale amministravano i sempre più ristretti possedimenti del Regno di Napoli.

LA DISFIDA

Causa e preparazione del duello

I francesi si erano spinti fino a Canosa di Puglia, dove vennero impegnati in una breve scaramuccia dagli spagnoli. Alla fine dello scontro, le truppe di Diego de Mendoza catturarono e tradussero a Barletta vari soldati francesi, fra cui il nobile Charles de Torgues, soprannominato Monsieur Guy de la Motte.

Il 15 gennaio 1503, i prigionieri furono invitati ad un banchetto indetto da Consalvo da Cordova in una cantina locale (oggi chiamata Cantina della Sfida). Durante l'incontro, la Motte contestò il valore dei combattenti italiani, accusandoli di codardia. Lo spagnolo Íñigo López de Ayala difese invece con forza gli italiani, affermando che i soldati che ebbe sotto il suo comando potevano essere comparati ai francesi quanto a valore.

Si decise così di risolvere la disputa con un duello: la Motte chiese che si sfidassero tredici (in origine dieci) cavalieri per parte il 13 febbraio nella piana tra Andria e Corato. Il duello venne programmato nei minimi dettagli: cavalli ed armi degli sconfitti sarebbero stati concessi ai vincitori come premio, il riscatto di ogni sconfitto fu posto a cento ducati e furono nominati quattro giudici e due ostaggi per parte.

Prospero Colonna e Fabrizio Colonna si occuparono di costruire la "squadra" italiana, contattando i più forti combattenti del tempo. Capitano dei tredici cavalieri italiani sarebbe stato Ettore Fieramosca, che si occupò dello scambio di missive con la controparte francese, Guy la Motte.

I cavalieri italiani e spagnoli pernottarono ad Andria, nella cui Cattedrale Fieramosca e gli altri seguirono la messa d'augurio il giorno del duello, e fecero giuramento di vittoria o di morte. I francesi invece rimasero a Ruvo di Puglia, dove erano attestati con le truppe, partecipando alla messa nella Chiesa di San Rocco.

I partecipanti

Di seguito, i tredici partecipanti, i quattro giudici e i due ostaggi che presero parte alla disfida.

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Italiani
Cavalieri Scudo francese
Francesi
Ettore Fieramosca Charles de Torgues
Francesco Salamone Marc de Frigne
Marco Corollario Girout de Forses
Riccio da Parma Claude Grajan d'Aste
Guglielmo Albimonte Martellin de Lambris
Mariano Abignente Pierre de Liaye
Giovanni Capoccio Jacques de la Fontaine
Giovanni Brancaleone Eliot de Baraut
Ludovico Aminale da Terni Jean de Landes
Ettore Giovenale Sacet de Sacet
Fanfulla da Lodi François de Pise
Romanello da Forlì Jacques de Guignes
Ettore de' Pazzis o Miale da Troia Naute de la Fraise
Giudici di Campo
Francesco Zurolo (o Zurlo) Lionnet Du Breuil[11]
Diego Vela Monsieur de Murtibrach
Francesco Spinola Monsieur de Bruet
Alonzo Lopez Etum Sutte
Ostaggi
Angelo Galeotta Monsieur de Musnai
Albernuccio Valga Monsieur de Dumoble

Il duello
Il duello avvenne in un'area recintata dai giudici delle due parti. Gli italiani furono i primi a giungere sul posto, seguiti di lì a poco dai francesi, che ebbero il diritto di entrare per primi nel campo. Le due formazioni di cavalieri si disposero su due file ordinate, contrapposte l'una all'altra, per poi caricarsi vicendevolmente lancia in resta.

Jean d'Auton, tuttavia, afferma che gli italiani si avvalsero di uno stratagemma: anziché caricare, arretrarono fino ai limiti del campo di battaglia e aprirono dei varchi nelle proprie file per far fuoriuscire dall'area alcuni cavalieri francesi, riuscendo con alcuni di loro nel tentativo. Il vescovo Paolo Giovio riporta che i cavalieri italiani rimasero fermi sulle loro posizioni con le lance abbassate, in attesa della carica francese.

Il primo scontro non causò gravi danni alle parti, ma mentre gli italiani mantennero sostanzialmente salda la posizione, i francesi sembrarono leggermente disorganizzati. Due italiani finirono disarcionati, ma una volta rialzatisi cominciarono ad uccidere i cavalli dei francesi, costringendoli a piedi.

Lo scontro continuò con spade e scuri, finché tutti i francesi vennero catturati o feriti uno dopo l'altro dagli italiani, che conseguirono una netta vittoria. Jean d'Auton riporta di tale Pierre de Chals, della Savoia, unico combattente francese a rimanere in piedi fino all'ultimo: de Chals, tuttavia, non viene citato da nessun'altra fonte. Giovio afferma che un combattente francese, tale "Claudio" (presumibilmente riferendosi a D'Aste), morì per una grave ferita alla testa.

Sicuri della vittoria, i francesi non avevano portato con loro i soldi del riscatto e furono così condotti in custodia a Barletta, dove fu Consalvo in persona a pagare di tasca propria il dovuto per poterli rimettere in libertà. La vittoria degli italiani fu salutata con lunghi festeggiamenti dalla popolazione di Barletta e con una messa di ringraziamento alla Madonna, tenutasi nella Cattedrale di Barletta.

Eredità e valutazioni postume sull'evento

La portata della disfida fu largamente maggiore ai suoi reali effetti. La vittoria fu celebrata per tutta l'Italia, un simile risultato stemperò i duri giudizi che i francesi riservavano ai cavalieri italiani e per secoli se ne usò il nome per omaggiare le virtù militari degli italiani. Tuttavia, l'attaccamento dimostrato a un evento del tutto secondario nello scenario delle guerre d'Italia del XVI secolo vale a sottolineare il complesso d'inferiorità sofferto dagli italiani innanzi alle invasioni straniere, malgrado le deficienze dipendessero maggiormente dalla scarsa organizzazione che dal valore dei soldati.

Il Procacci nel suo libro "La disfida di Barletta: tra storia e romanzo" riporta che lo storico Nunzio Federigo Faraglia commentò che "gli italiani si tenevano paghi e vendicati dal prospero evento di una giornata, mentre due re stranieri si contendevano la signoria d'Italia, né i tredici cavalieri militavano per la patria, anzi col loro valore affrettarono la conquista [spagnola] del Regno e la dura servitù di due secoli". Il poeta Giovanni Battista Lalli ironizzò nella "Franceide" sul vero motivo della disfida, indicandolo nella contesa sulla paternità della sifilide - detta appunto "mal francese" dagli italiani e "mal di Napoli" dai francesi.

Nel XX secolo, il fascismo declinò l'evento in chiave patriottica e in quest'ottica la disfida raggiunse il massimo della sua fama. Mussolini usò l'evento facendo leva sul sentimentalismo nazionale e la riscossa contro lo straniero, ignorando però che tale sentimento era sconosciuto nell'Italia del XVI secolo e soprattutto che i 13 cavalieri italiani combatterono sotto i colori spagnoli. Da ricordare, a tal proposito, il film Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, opera di chiaro stampo nazionalistico che ha ben poco di storico. È indicativa, per esempio, la risposta di Ettore Fieramosca, quando Prospero Colonna chiede al capitano degli italiani di spiegare a Consalvo di Cordoba perché gli italiani si mostrassero in campo senza piume sugli elmi e bandati di nero: "In segno di lutto per i nostri compagni caduti e del nostro popolo diviso".

La controversia su Grajan d'Aste

La figura del cavaliere francese Claude Grajan d'Aste è al centro di un lungo dibattito storico, riguardante numerosi aspetti: dalla sua reale identità al comportamento in battaglia, alla sua sorte.

Sebbene varie fonti attribuiscano nazionalità francese al cavaliere, Grajan d'Aste è spesso riportato da fonti italiane come Graiano d'Asti (all'epoca dei fatti la Contea di Asti apparteneva a Luigi d'Orleans futuro re di Francia col nome di Luigi XII per via dell'eredità viscontea), ossia come un cavaliere astigiano che scelse di combattere per parte francese. Il primo a esprimere tale tesi è Giovio, secondo cui Graiano era "nato in Aste colonia d'Italia" e "poco onoratamente, se non a torto, aveva preso l'armi per la gloria d'una nazione straniera contra l'onor di patria". Nemmeno sulla sorte del cavaliere dopo la disfida ci sono certezze: sebbene si concordi che d'Aste venne gravemente ferito, Summonte riporta che questi scelse di arrendersi agli italiani, mentre Giovio afferma che "meritatamente morisse" in seguito a gravi ferite alla testa.

La tesi del "traditore" fu recepita soprattutto nelle rappresentazioni letterarie e cinematografiche italiane. Per esempio, Massimo d'Azeglio nel suo romanzo Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta descrive Grajan d'Aste (chiamato "Grajano d'Asti") come "di que' tali che ne vanno dieci per uscio, né bello né brutto, né buono né cattivo; assai buon soldato bensì, ma che avrebbe servito il Turco se meglio lo avesse pagato", per poi sceneggiare un acceso scambio di battute fra lui e Fieramosca, il quale, notato il suo nome nella lista di cavalieri francesi, arriva a definirlo senza mezzi termini "traditore". Il cavaliere verrà poi affrontato in duello da Giovanni Brancaleone, che lo ucciderà con un profondo colpo alla testa.

Nella già citata pellicola di Blasetti, nel rispondere all'esultanza di un cavaliere spagnolo per il disarcionamento dei primi due francesi, tra cui Graiano d'Asti, Prospero Colonna commenta che questi "era già condannato prima di combattere e così sia di tutti i traditori".

La contesa sul nome

Verso i primi anni trenta, vi fu una dura polemica sul luogo in cui erigere un nuovo monumento in ricordo della Disfida, che si trasformò in una lotta sul nome stesso della disfida.

Nell'ottobre 1931, l'avvocato di Trani Assunto Gioia pubblicò un opuscolo nel quale riteneva che la disfida avrebbe dovuto prendere il nome da Trani e non da Barletta, essendo stata combattuta in territorio tranese. Il 28 ottobre, il sottosegretario Sergio Panunzio pubblicò un articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno, nel quale manifestò ampio sostegno alla tesi di Gioia. Fra il 2 e il 3 novembre, risposero Salvatore Santeramo su Il Popolo di Roma e Arturo Boccassini, la cui lettera fu rifiutata dalla Gazzetta del Mezzogiorno per motivi politici e che fu pubblicata sotto forma di opuscolo.

Nella contesa si inserì anche Bari, dove il 3 novembre venne fondato un Comitato per far sì che il capoluogo pugliese diventasse sede del nuovo monumento alla Disfida. Nel Comitato, figuravano vari alti esponenti del Partito Nazionale Fascista come l'allora Capo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Attilio Teruzzi, il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo di Crollalanza e il vicesegretario del PNF Achille Starace.

La notizia della costituzione del comitato barese generò forti contestazioni a Barletta: un gruppo di manifestanti entrò nel comune e prelevò a forza il bozzetto in gesso del monumento, portandolo in mezzo alla piazza e depositandolo su un improvvisato piedistallo. La questione sembrò rientrare, ma il 7 novembre Boccassini venne destituito dalla sua carica di segretario politico del locale PNF. La decisione provocò nuove manifestazioni, che degenerarono in primi scontri con le forze dell'ordine. Il 10 novembre, quando arrivò il nuovo Commissario prefettizio, la popolazione proruppe in un lancio di sassi contro i Carabinieri, che a loro volta risposero sparando sulla folla, uccidendo due persone.

Lo storico italiano Piero Pieri afferma nel saggio Il Rinascimento e la crisi militare italiana che sarebbe stato più esatto chiamarla "Disfida di Andria".

Barletta afferma oggi all'articolo 5 del suo Statuto comunale che "Il Comune di Barletta assume il titolo di Città della Disfida a ricordo della storica Sfida del 13 febbraio 1503".

Testi tratti da: https://it.wikipedia.org/wiki/Disfida_di_Barletta

La Cantina della Disfida è aperta al pubblico. 
Cantina della Sfida - via Cialdini - ORARI: mattina dalle ore 9.00 alle ore 13.00; pomeriggio dalle ore 15.00 alle ore 19.00
Ingresso gratuito


 

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