Valderice

Valderice

VALDERICE E LA COSTA OCCIDENTALE DELLA SICILIA

Racconta la leggenda che in tempi antichissimi la vetta del monte dove oggi sorge Erice fosse il regno di Astarte, primigenia dea della fecondità, della bellezza e dell’amore del mitico popolo degli Elimi. Per venerare e rendere omaggio a colei che successivamente si sarebbe sovrapposta alla greca Afrodite e alla romana Venere, giungevano da ogni dove marinai e pellegrini che, nel recinto del tempio ancora oggi esistente, dove ardeva una gigantesca pira, si univano alle “ierodule”, le sacerdotesse della divinità.
Poche enigmatiche scritte, per lo più indecifrabili, ci restano di quest’epoca misteriosa e lontana. Quello che si sa con certezza è che, in tempi successivi, quando, con la fine degli scontri tra Cartagine e Roma, l’importanza militare di Erice iniziò a declinare, gli abitanti che si erano stanziati sulla vetta del monte cominciarono a scendere a valle e a formare delle comunità sulle sue pendici.
Da qui cominciò la storia di Valderice, località che ha assunto questo nome solo nel recente 1998.
Valderice sorge su una collina in posizione panoramica, tra il verde di lussureggianti giardini e secolari ulivi, quale ideale punto di congiunzione tra il cielo e il mare. Su questo terrritorio posto nell’estrema punta occidentale della Sicilia, a soli 7 km da Trapani, baciato tutto l’anno da un clima dolcissimo, si intreccia un importante tessuto architettonico, tra cui spiccano alcuni edifici rurali testimoni dell’antica civiltà contadina, conosciuti con il nome di Bagli.
Tra queste strutture edilizie, in alcuni casi ottimamente preservate, in altri casi in rovina, ricordiamo il Baglio Santa Croce, che grazie a un’accurata opera di restauro è diventato un grazioso hotel arredato in “stile”, il Baglio Sciare Marini che assomiglia a una fortezza e ancora il Baglio Battiata, il Baglio Naselli a Bonagia e il Baglio Pilati a S. Andrea. Il patrimonio architettonico comprende anche alcune ville gentilizie dell’800, circondate da ameni parchi e giardini, tra cui Villa Adragna, Villa Elena, Villa Pilati e Villa Betania.
Passando agli edifici sacri, troviamo l’antica chiesa della Madonna di Misericordia, famosa “custode” della tela a olio dipinta da Andrea Carreca, la  moderna chiesa di Cristo Re affacciata sull’omonima piazza nel centro città, e la chiesa dell’Apostolo S. Andrea che presenta all’ingresso della sua unica navata un suggestivo mosaico in vetro raffigurante il santo. L’edificio è stato ulteriormente valorizzato dal recente rinvenimento di una lapide con caratteri greci, datata III secolo d. C..
Chi fosse appassionato di teatro, lirica, concerti e balletto classico, non può invece perdere una visita ad un altro gioiello di Valderice: il teatro all’aperto di San Barnaba, ricavato da una vecchia cava di tufo, che richiama nella concezione e nella suggestiva collocazione paesaggistica, gli antichi anfiteatri greci e romani. Il teatro ospita molte altre manifestazioni di successo, tra cui interessanti rassegne cinematografiche durante la vivace “Estate Valdericina”, quando le iniziative culturali trovano un ideale cornice anche in alcuni Bagli e Ville.
In un intreccio di opposti destini, come abbiamo visto in precedenza, la storia della fondazione di Valderice fu fortemente legata a quella del declino di Erice, la città che era sorta attorno alla cima del monte omonimo in posizione impervia, in epoca più tarda rispetto al tempio. La sua storia sembrò interrompersi per sempre dopo la caduta dell’Impero, quando l’importanza strategica della città andò via via decadendo in favore di Trapani. La ripresa si ebbe coi normanni, quando Ruggero II fece costruire un borgo sull’insediamento preesisente che chiamò Monte S. Giuliano, in onore al santo che gli era apparso in sogno durante l’assedio al monte.
Se oggi ci si volge indietro e si guarda la vetta del mitico monte, al posto del leggendario luogo di culto si scorge il Castello normanno di Venere, che dell’antico tempio ha conservato solo il nome. Guardando la città dal basso, si ha l’impressione che le sue mura facciano tutt’uno con il monte per colore e asperità: la sensazione non è sbagliata, dato che esse furono edificate con la pietra della montagna stessa seguendo perfettamente la conformazione del crinale. I muri macchiati di muschio e la perenne nebbiolina sembrano a tratti avvolgere Erice in un’atmosfera tetra e misteriosa. L’impronta prettamente medievale della cittadina traspare nelle case di pietra grigia, nelle graziose stradine acciottolate, nelle cosiddette “vanelle”, corridoi che consentono il passaggio di una persona per volta, costruite anche a scopo difensivo. Il silenzio e la solitudine sembrano essere un fatto ambientale, e passeggiando per le viuzze, alla ricerca dei rinomati “cortili” ericini, è molto facile non incontrare nessuna delle ottomila anime del paese.
La possibilità di concentrazione e isolamento per lungo tempo resero Erice un luogo di clausura. Qui era facile dimenticare il mondo, le sue passioni, le sue attrattive e dedicarsi allo studio e alla speculazione filosofica e religiosa. Ancora oggi, da qualche anno, all’interno di uno dei monasteri abbandonati dalle suore, è sorto un centro scientifico internazionale dove scienziati di grande levatura si rifugiano per confrontarsi su tematiche di altissimo livello.
Erice “Città della Scienza” ma anche del folklore: da tempo immemore, ogni venerdì santo vi si svolge la Processione dei Misteri, una celebrazione di grande suggestione che parte dalla Chiesa quattrocentesca di Sant’Orsola. La Processione affonda le sue radici in un tempo non più identificabile e rappresenta una delle più autentiche manifestazioni di fede popolare.       
Dai luoghi sublimi ed “elevati”, passando per la vallata dell’Agro Ericino, si arriva al litorale lungo 6 km proiettato sul Golfo di Bonagia, dove sorge un piccolo borgo marinaro caratterizzato dall’economia e dalla pesca del tonno, la cosiddetta “mattanza”. La Torre della Tonnara, risalente al XV secolo è stata restaurata e trasformata nel museo della pesca del tonno. E’ possibile ammirare il complesso nella sue interezza: il Baglio, la chiesetta,  i magazzini, le case dei pescatori. Lido di S. Giuliano, Lido Valderice e Erice Mare sono le rinomate località di villeggiatura della costa ora sabbiosa, ora rocciosa e frastagliata.
Ogni angolo di questa costa diventa davvero evocativo e supera i confini spazio-temporali dell’immaginario, se lo si guarda con gli occhi del mito. Infatti a questi luoghi fa esplicitamente riferimento Virgilio nei libri I, III e V dell’Eneide. Alcune puntuali descrizioni fanno addirittura pensare che il poeta abbia personalmente visitato questi luoghi traendone spunti e ispirazione per una più puntuale ambientazione dell’opera.
Su questo litorale pare essere avvenuto lo sbarco di Enea, profugo di Troia che venne accolto e ospitato da Re Aceste, signore di Erice. In contrada Pizzolungo riposano le spoglie del padre di Enea, Anchise e la Stele Virgiliana di fronte al mar Tirreno ne conserva la memoria; qui ebbero luogo i ludi di Enea, descritti nel libro V del sommo poema epico.
Continuando a seguire l’itinerario costiero verso nord, si incontra il borgo marinaro di San Vito Lo Capo, racchiuso nella baia compresa tra le riserve naturali dello Zingaro a ovest e di Monte Cofano a est e caratterizzato da una marcata impronta araba. Questa località intitolata a San Vito, il martire cristiano che, secondo la tradizione, in fuga dalla persecuzione passò di qui con il servitore Modesto e la nutrice Crescenzia, a cui è dedicata una cappella, presenta delle particolarissime case bianche rivestite di bouganvillee e hibiscus affacciate su strade dritte e parallele, e una bianchissima spiaggia ad arco lambita da un mare turchese. Ogni anno, nel mese di settembre, San Vito ospita la Cous Cous Fest, un’importante competizione gastronomica internazionale, in cui i migliori chef di quattro continenti si sfidano per preparare il “Miglior Cous Cous” erigendo questo piatto, carico di storia e di antiche radici, a simbolo di unione tra culture diverse.
Ma l’ampia vallata dell’Agro Ericino diviene porta d’accesso anche ad alcune delle più suggestive località della provincia e dell’intera regione. Segesta sorge a quattro chilometri da Calatafimi, sul monte Barbaro, a circa 400 metri sul livello del mare. Fu la più importante città degli Elimi, un popolo misterioso di cui sono ancora poco chiare le origini, e la più acerrima nemica di Selinunte. La sua fama è soprattutto legata al tempio dorico risalente alla metà del V secolo a.C., uno dei meglio conservati della Sicilia, che dall’alto domina tutto il paesaggio sottostante. L’altra importante testimonianza archeologica è il teatro, costruito sulla cima più alta del monte Barbaro intorno al III secolo a.C., ma poi modificato dai Romani. Oggi è diventato ideale scenario di spettacoli classici e delle “albe segestane”, recitals di poesie che si tengono alle cinque del mattino.
Selinunte, le cui bianche rovine si stagliano da un altopiano calcareo contro l’azzurro del cielo e del mare, è l’altro importante sito archeologico fondato dai coloni di Megara Iblea verso la metà del VII secolo a.C. a danno delle popolazioni elime e sicane stanziate sul territorio.
Della storia di Selinunte si ricorda soprattutto il terribile assedio di Annibale del 409, protratto per nove giorni con catapulte e dardi infuocati fino alla disperata resa della popolazione. Pare che i Cartaginesi vincitori trasformarono la città in un inferno sgozzando vecchi, donne, bambini, facendo delle loro teste dei trofei, o portando cinture di mani delle loro vittime. Nel 1823 cominciarono gli scavi che hanno portato alla luce le quattro aree del Parco Archeologico: i tre templi della collina orientale, la collina dell’acropoli, la collina di Manuzza con l’abitato greco, e l’area sacra oltre il fiume Modione con il santuario intitolato a Demetra Malophóros, cioè “portatrice di melograno”.   

 

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