La Reggia di Caserta
La Reggia, patrimonio Unesco
LA SETTECENTESCA REGGIA DI CASERTA E IL PARCO, L’ACQUEDOTTO VANVITELLIANO E IL COMPLESSO DI SAN LEUCIO
Diventato re di Napoli nel 1734, Carlo III di Borbone volle far costruire un palazzo che, sull’esempio della Versailles di Luigi XIV, costituisse il simbolo del nuovo potere reale e rappresentasse il fulcro di una nuova città, che avrebbe dovuto far sentire più vicina la presenza dei sovrani anche nelle zone distanti dalla capitale. Per sviluppare l’intento del re fu scelto un architetto allora molto in voga in Vaticano, Luigi Vanvitelli, che stese il progetto di questo grandioso complesso fin nei minimi dettagli, ma non riuscì a portare a termine i lavori, iniziati nel 1752, poiché morì nel 1773, lasciando così al figlio Carlo il difficile compito di terminare la costruzione di questo stupefacente edificio, divenuto patrimonio UNESCO nel 1997.
Si tratta di un insieme spettacolare, dalle dimensioni strabilianti: la sola Reggia, infatti, copre un’area di 44.000 metri quadrati e comprende 1.200 stanze, ciascuna con importanti opere di pittura e scultura e con un maestoso arredamento e suppellettili d’epoca, ciascuna con una sua storia e le sue curiosità. Vi sono poi scaloni da favola, atri e cortili mozzafiato, gli appartamenti reali (vecchio e nuovo) d’una bellezza indicibile, i maestosi ambienti di rappresentanza, una biblioteca, un museo, un presepio, la cappella, il magnifico teatro ed un’infinità di altri ambienti lussuosi e ricchi d’ogni genere di opere d’arte… basti pensare che perfino i bagni sono dei capolavori, ornati da marmi e con rivestimenti in rame dorato, dotati perfino di due rubinetti, uno per l’acqua calda e uno per la fredda, che erano una vera rarità all’epoca.
La pianta del palazzo, di forma rettangolare con l’area interna divisa in quattro cortili per mezzo di due corpi di fabbrica intersecantisi ad angolo retto, è in realtà piuttosto semplice, ma alla sua costruzione furono necessarie, oltre ad una numerosa schiera di maestranze locali e straniere, anche un elevato numero di schiavi e galeotti. I numerosi materiali, poi, furono estratti in gran parte da cave della zona o di altri territori del regno, così che è possibile trovare opere in tufo, travertino, marmo grigio e svariate altre qualità di marmi, fra cui spiccano alcune statue in marmo bianco di Carrara.
Fra le molte particolarità vanno segnalati la presenza di un caminetto per il riscaldamento in ogni stanza e l’impiego nei soffitti di ogni tipo e forma di volte, ma un occhio di riguardo è indispensabile per il strabiliante arredamento: grandi lampadari in vetro e bronzo dorato, mobili in stile Impero, monumentali orologi, candelabri preziosi e vasi delle più pregiate porcellane, oggetti in vetro di Murano sono i necessari complementi per sale mirabilmente affrescate, ricche di stucchi ed abbellite da pavimenti in marmo, alabastro, con curiosi disegni geometrici ed una quantità di legni d’ogni tipo intarsiati o finemente lavorati. Una nota particolare merita poi la superba galleria d’ingresso, subito dopo il cancello centrale, composta da tre navate, una per le carrozze e due laterali per i pedoni. Essa conduce direttamente all’ottagono nel cuore della reggia, dove fasci di colonne di pietra sorreggono arcate, creando passaggi sia ai quattro cortili interni sia, sulla destra, al maestoso scalone ornato da marmi policromi che compongono pregevoli effetti decorativi, al principio del quale due splendidi leoni in marmo bianco (simbolo di grandezza e potere) custodiscono le due rampe parallele. Oltre l’ottagono, poi, la galleria continua fino a perdersi nella verde prospettiva del parco, con un movimento scenografico davvero unico, capace di evocare l’illusione di spazi pluridirezionali.
Dietro ad un’austera facciata si celano, insomma, sfarzosi appartamenti dalle ricche decorazioni e con lussuosi arredi, appositamente pensati per la corte borbonica ed eseguiti dai migliori artigiani del regno.
Non meno maestosi sono i 1.200.000 mq. del Parco, ricco di spettacolari fontane e di statue, attraversato da un lungo corso d’acqua rettilineo, originato da un’imponente cascata artificiale ed interrotto dalle molte fontane. Questo magnifico insieme, progettato anch’esso in tutti i minimi particolari da Vanvitelli, costituisce un indispensabile elemento di raccordo fra il paesaggio verdeggiante delle colline circostanti e l’enorme costruzione reale. Esso comprende la Grande Peschiera (un laghetto con al centro un isolotto); il Giardino Inglese, vera innovazione che all’epoca introduceva una nuova visione del giardino, non più basato su forme geometriche, ma su una “naturale libertà” del verde, in cui tutto era in realtà studiato per apparire casuale e l’Acquedotto Carolino, realizzato per supplire all’enorme volume d’acqua richiesto dai giochi d’acqua delle fontane e della cascata. Il parco è attraversato centralmente da un lungo viale, nel quale confluiscono centralmente numerose strade laterali che si addentrano in folti boschetti e lungo il quale si incontrano le sei monumentali fontane, fra cui spiccano per imponenza e bellezza quella di “Cerere” e quella di “Venere ed Adone”. Vero capolavoro scultoreo è poi la “Fontana di Diana e Atteone” sopra alla quale si sviluppa la “Grande Cascata”, culmine dell’insieme di vasche, vegetazione, giochi d’acqua, di luci e di suoni, alla cui estremità si apre la grotta dove s’immette l’acquedotto carolino.
La fondazione del setificio di San Leucio rappresentò il momento più alto dell’ideologia di rinnovamento promossa anche in campo industriale e sociale dai Borbone. San Leucio, piccolo borgo che prende il nome da un’antica chiesa Longobarda posta in cima all’omonimo monte, offre la visita al grazioso Belvedere, che dalle pendici del colle domina il panorama sottostante. Questo fu fatto costruire per volere dei Principi d’Aragona, ma raggiunse lo splendore nel periodo borbonico, quando Ferdinando IV, figlio di Carlo III, decise di ristrutturarlo ed abbelirlo per adibirlo a sua residenza, quando si recava in quei paraggi per le sue battute di caccia. Nel 1778, poi, il re decise di dare inizio alla tessitura della seta, la cui produzione si estese a tal punto da richiedere la costruzione di case per gli operai; nel 1789 Ferdinando emanò addirittura un codice di leggi per regolare la vita della “Reale Colonia di San Leucio”, proponendo così un modello utopico di giustizia sociale che non poté mai realizzarsi a causa dello scoppio della Rivoluzione in Francia, ma che resta vivo nella memoria di quanti ancora oggi producono preziose sete con l’utilizzo di quegli antichi telai.