I Palazzi di Mantova
Mantova città d'arte
Non è difficile credere che la città di Mantova ammali con il fascino misteriosamente intrigante di un antico incantesimo.
Del resto, se si dà ascolto al mito, Mantova venne fondata da un’indovina in fuga da Tebe, una donna che nel mondo antico era considerata in stretto rapporto con la divinità. E Manto, perché questo era il suo nome, con il mistero aveva vissuto fin dalla nascita, dato che suo padre era un celebre indovino, Tiresia.
Mantova se ne sta immobile nel suo fascino come un antico scrigno prezioso che mostra le sue meraviglie pian piano, a chi sa osservare con occhio attento e disposto ad innamorarsene, e chi la incontrò, dal celebre Dante, al poeta Sordello, a Virgilio fino a Torquato Tasso, la descrisse con stupore.
Non bisogna meravigliarsi, dunque, se sulle pareti dei suoi affascinanti palazzi, dei e meravigliose dee abbiano trovato dimora…
PALAZZO TE
A guardarlo dall’esterno, nella sua geometrica purezza fatta di snelli loggiati e di elementi sobri, ritmici porticati disposti attorno ad un cortile, non si potrebbe immaginare che al suo interno sia in atto ormai da secoli una disfatta senza fine, quella dei Giganti. Nella sala che porta il nome di Sala dei Giganti, è sufficiente osservare il punto dove la volta crolla e le colonne rovinano in massi, per sentirsi attratti dal vorticoso turbinio della battaglia e provare l’impulso improvviso di ritrarsi. Niente paura, naturalmente, perché l’evento ritratto è accaduto in un tempo lontano, in un luogo senza tempo.
Sembra di sentire ancora la presenza del geniale artista che lo realizzò: Giulio Romano, ritenuto per tradizione piuttosto dispotico con i suoi collaboratori, ma tanto abile da realizzare l’affresco che rappresenta il Palazzo Te per antonomasia e che, al di là del mito, vuole essere un ammonimento per i nemici: i Giganti attaccarono la corte degli dei e Giove li distrusse.
Imperdibili anche il Salone con i cavalli, l’equitazione era infatti una passione radicata nella famiglia Gonzaga, la sala che ricorda la dolce vicenda di Psiche che si innamorò di Amore e la Sala dei Venti, con i segni dello Zodiaco.
All’interno, lo sguardo si lascia catturare dall’ipnotico turbinio di colori, dai monumentali camini decorati che un tempo riscaldavano con il loro crepitio quei grandi saloni, testimoni allegri di feste chiassose ed eleganti molto amate da Federico II Gonzaga, in pieno accordo con il suo spirito non solo politico e guerriero, ma anche festaiolo.
Curioso infatti è osservare che il Palazzo fu voluto proprio per questo intento di svago, edificato come dimora suburbana in grado di ospitare molte persone nei suoi fastosi alloggi.
L’origine del nome del Palazzo, apparentemente misteriosa, deriva in realtà dal nome della zona, Tejeto o forse dai suoi antichi edifici. Nulla a che vedere dunque con il rito inglese del tè.
PALAZZO DUCALE
Il Palazzo è il simbolo del potere di una famiglia, quella dei Gonzaga, che vantò tra i suoi componenti illustri uomini e donne che praticarono con pari astuzia ed intelligenza le arti della guerra, dell’intrigo, ma anche dell’arte e del mecenatismo, proteggendo, come fece la nobile e bella Isabella D’Este, di cui ancora è presente il delizioso studiolo, innumerevoli artisti.
Questa ampia e dispendiosa corte ebbe il grande merito di ospitare tra le sue mura non solo uomini e donne nobili per famiglia ma anche per ingegno.
Perché se sulle pareti abitavano dei ed eroi, tra le sue mura vivevano uomini e donne che intrecciavano le loro vicende sotto lo sguardo muto di questi personaggi dipinti, cercando, chissà, a volte, di emularne le gesta.
I Gonzaga iniziarono la sua costruzione nel XIII secolo, che proseguì a lungo senza essere mai completamente terminata.
Il risultato è comunque di un fascino incommensurabile. Basti pensare a scenari da sogno come quello ritratto da Pisanello, noto artista italiano, nella sala che porta il suo nome, all’Appartamento Ducale, dai soffitti scintillanti di intarsi e di ori, all’Appartamento degli arazzi, i quali possiedono un fascino antico, per proseguire con qualcosa di curioso, come gli arredi in miniatura del cosiddetto Appartamento dei Nani, i quali operavano come buffoni di corte, in realtà spesso molto intelligenti e pieni di acume, e con la Sala dedicata all’Indovina Manto, mentre un cortile, detto della Cavallerizza, rallegra la vista con il suo incantevole giardino pensile, con vista su un delizioso laghetto.
Detto questo, si capisce che in realtà definirlo Palazzo è quasi riduttivo, data l’ampiezza dei suoi locali, il numero quasi infinito di stanze, di cui un gran numero è visitabile, in un intrecciarsi di logge, porticati, piazze, che contribuiscono alla sua fama di città nella città.
Ingannarsi, perdere l’orientamento, sembra facile, perché nel palazzo vi sono stanze che con l’illusione giocano sapientemente. Stanze in cui gli Angeli hanno ali colorate di farfalla, leggere ed impalpabili come la materia dei sogni.
Ecco la nota “Camera Picta”, meglio conosciuta come Camera degli Sposi, che costituisce uno spazio che esiste e che non esiste allo stesso tempo.
La Sala, che è una delle più importanti del Palazzo, è praticamente cubica, ma sulle pareti si dispiega uno spazio che non si può toccare, che non si può raggiungere se non con lo sguardo, perché non ha né inizio né fine.
Un’illusione che funziona come una curiosa macchina del tempo.
E normale, qui, trovarsi occhi negli occhi con l’affascinante Ludovico III. Niente paura, perché chiaramente non si tratta di un fantasma, e nemmeno di un bizzarro salto all’indietro nel tempo…o meglio, non proprio…
Il mago che produsse questo incantesimo non era ammantato del magico mistero che avvolgeva l’Indovina Manto e non usò pozioni e magie. I suoi filtri magici furono i pennelli, i colori, e la sua sorprendente, geniale abilità. Il suo nome è Andrea Mantegna. Un uomo straordinario, un pittore eccellente, che ci permette, oggi come ieri, di alzare lo sguardo ed incontrare gli occhi degli angeli.
E tutto questo, semplicemente dipingendo un oculo, un’apertura sul soffitto, che lascia intravedere un cielo immaginario, quello che ancora oggi guarda ammirato la città e i suoi incantevoli splendori.