Palazo Ducale
Urbino, il Palazzo delle illusioni
Un Paesaggio avvolto nella luce ambrata del mattino, quando i raggi rendono morbidi i contorni e illuminano il pulviscolo come pagliuzze dorate.
Uno sportello lavorato che si apre, lasciando intravedere uno spiraglio di buio, una clessidra senza tempo, un libro in bilico che sembra cadere... inutile tentare di fermare la sua caduta. Non cadrà mai.
Perché lo studiolo del palazzo di Urbino è fatto di spazi irraggiungibili che si possono toccare solamente con lo sguardo, oggetti che non si possono raggiungere semplicemente perché sono… una perfetta, splendida illusione, realizzata con una tecnica speciale, un “trompe d’oeil” di tarsie di legno, che dilatano uno spazio che altrimenti sarebbe piuttosto angusto con vivo gioco di luci e di colori, tutti in legno, in uno scambio illusorio e raffinato tra realtà e finzione, grazie all’uso sapiente delle regole prospettiche.
Certo, lo studio della Jole è solo un angolo dello splendido palazzo, ma rispecchia in maniera inequivocabile lo spirito indomito di colui che il palazzo lo volle fortemente, Federico II da Montefeltro, appartenente alla nobile e celebre casata della zona, che in gioventù si era formato alla corte della famiglia Gonzaga di Mantova.
Questo principe, colto uomo di lettere e d’armi che tra le più strette amicizie vantava l’Alberti, celebre architetto ed artista, affidò il progetto agli architetti Francesco di Giorgio e Luciano Laurana, i quali caratterizzarono con il monumentale intervento la fisionomia della placida Urbino, ieri come oggi, fino a conferirle la fisionomia originalissima di una “città palazzo”.
L’illusione che all’interno, tra cortili raffinati, logge, saloni splendidi con soffitti decorati a cassettoni, e camini grandiosi come quello di Ercole e Jole, che crepitando allegramente deve aver rallegrato e riscaldato numerose serate di festa, continua all’esterno, tra scaloni elicoidali che avvolgono il visitatore in un ipnotico abbraccio, e torri che rispecchiano quelle di un castello medievale, ma, inutile dirlo, questa non è altro che l’ennesima illusione. La facciata detta “dei torricini” è illuminata da finestre da favola e logge leggere che ricordano per imponenza il motivo dell’arco del trionfo.
Non bisogna del resto dimenticare che l’imponenza è la principale caratteristica che emerge parlando di palazzi, che a differenza dei castelli non hanno esigenze difensive particolarmente marcate, essendo piuttosto residenze di lusso e di svago. Disteso sui colli ondulati il palazzo doveva garantire al Principe, quasi fosse un imperatore (infatti, il palatium erano le ville degli imperatori poste sul colle Palatino a Roma) di estendere il suo sguardo sulle sue vaste terre, vicino ai sudditi, ma al contempo separato da essi, come anche lo splendido ed immenso giardino sembra voler suggerire.
Dal 1912 il Palazzo Ducale ospita inoltre l’interessantissima “Galleria Nazionale Delle Marche”, che custodisce pregiatissime opere di celebri autori italiani come Raffaello, Tiziano, Paolo Uccello e Piero della Francesca.
Federico volle costellare il ducato di rocche e dimore per lo svago della propria famiglia, le quali ancora oggi fanno capolino tra le colline ondeggianti d’alberi.
Così anche il noto Palazzo Ducale di Urbania (antica Casteldurante delle maioliche) e soprattutto lo splendido Barco Ducale, residenza di caccia dei duchi, e non ultima la magica rocca di Gradara, eretta dai Griffo, rimaneggiata dai Malatesta e dagli Sforza, dotata di meravigliosi affreschi di epoca rinascimentale e di una storia dalle tinte certamente più che fosche.
Chi non ricorda infatti la celebre e triste storia di Paolo e Francesca che Dante ricorda nella Commedia?
Quella che ancora oggi è ricordata come la camera di Francesca ha un grande letto a baldacchino dalle tende leggere che ondeggiano un po’ per il vento sottile che entra dalla finestra spalancata, un po’ per i ricordi che impregnano le pareti anche quando chi ha vissuto quella passione non esiste più.
Francesca era stata data in moglie a Gianciotto Malatesta, pare, con l’inganno. Come futuro marito le fu presentato quello che invece sarebbe stato suo cognato, il dolce Paolo. Il resto, si sa, e una di quelle passioni che non lasciano spazio ad altro che sé stesse. E quando gli amanti incauti vengono scoperti sono uccisi senza pietà, ma, tra le fiamme dell’inferno dove il sommo poeta italiano li colloca, il loro amore continua ad ardere.